Categoria: San Demetrio Corone

COSTANTINO MORTATI

di Angelo Lino Luzzi

25 Aprile 2023, politically correct

di Angelo Lino Luzzi ©

Dal 1989 in poi, ogni 24 di aprile,  in redazione a Radio Shpresa E1 preparavo il servizio giornalistico per mandarlo in onda il 25, giorno della festa di Liberazione dal regime nazifascista. Il politically cor rect di oggi, lo usavo anche nel 89 in quanto si cercavo di essere il più equilibrato possibile nel dare informazioni storicamente e politicamente corrette, in assenza di uno Stato che al ginnasio degli anni 60, mi aveva privato della lettura di testi  di storia successivi alla prima guerra mondiale. Ho iniziato un mio studio su fascismo ed antifascismo attraverso l’acquisto di enciclopedie e testi specifici e con la raccolta di testimonianze dirette in famiglia, come la storia di mio padre, cannoniere d’artiglieria, fatto prigioniero nella piana di Catania e deportato in Germania in un campo di concentramento. Altre esperienze acquisite qui a San Demetrio Corone, e al nord Italia insieme a quelle in Germania , mi hanno permesso di tracciare un format, non tanto basato su comode ideologie, ma sul fatto che tutta la nostra cultura italiana, non era stata in grado di far superare ad alcuni italiani un fatto fondante, la nostra stessa Costituzione  e per giunta  espresso nel primo articolo per non dire nei primi articoli

Art. 1° della Costituzione

 La miglior chiave di lettura della riflessione  sulla Festa della Liberazione sarebbe da potersi ritenere proprio l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. In essa, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È una proposizione relativa quella che specifica l’esercizio della sovranità popolare, non ci sono toni avversativi. Che le forme e i limiti siano quelli dettati dalla Costituzione avrebbe potuto e dovuto significare che quella sovranità non potesse essere usurpata da una integrale spersonalizzazione dei meccanismi di delega. Né svuotata dall’inflazione e segmentazione della consultazione elettorale, né smodatamente attuata con linciaggi, violenze e inosservanza di qualsivoglia garanzia universale.

 Mi sono basato solo ed esclusivamente sulla percezione che si ha leggendo la nostra Costituzione che rivela ad una destra responsabile post fascista, un pieno riconoscimento a quella cornice che abbraccia valori di libertà, il diritto alla vita, di religione e di lingua, soprattutto al multipartitismo etc. A farmi ricordare ogni anno il “politicamente corretto”, se mai fosse stato bisogno, è il ricordo del compleanno di mia madre 25 aprile 1926  e  la liberazione di Trieste per il fatto  che mia madre si chiama Serra Maria Cristina, ma sua madre all’indomani della città liberata,  la chiamava con il nomignolo di Triestina. Torna chiaro il politicamente corretto, tra Stato democratico, fascismo e comunismo e le tragedie di tutti gli stati totalitari non escluse le  foibe comuniste di Tito e il ritorno di Trieste. Ho sempre pensato che con la nascita del partito di Alleanza Nazionale di Fini fosse stata superata la polemica, ma ancora qualcuno non riesce ad accettare la festa della Liberazione e il riconoscimento della Resistenza. Nonostante questo sporadico gruppo in parlamento viva in cuor suo una revisione infinita tra guerre di parole, ho notato, nonostante tutto che la Presidente del Consiglio dei Ministri Meloni, ha battezzato il suo progetto “ Africa” con  il nome di Enrico Mattei, partigiano e figura di rilievo della Resistenza , forse un auspicabile segno evidente di superamento?

Diventano un po’ tutti ridicoli, coloro i quali ad ogni vigilia del 25 aprile o del 1° maggio, per sola ed esclusiva convenienza di bottega, narcisismo,riempiono ad uso strumentale giornali e  blà blà blà sui talk shows  e sui social, non considerando che screditano loro e la politica, generando altissime percentuali di  astensionismo alle competizioni elettorali.

Se durante il regime nazifascista la causa è da attribuire ad un crollo collettivo di responsabilità verso l’umanità, in questi giorni, purtroppo, per colpa di uno solo, assistiamo a genocidi e scenari di guerra che nessuno avrebbe mai immaginato, anche se le cause sono diverse, ma la sostanza è quella. Ognuno di noi  legittimamente si indigna quando i sacri  presupposti di dignità e dritti vengono solo calpestati perché secondo me è nell’istinto nostro naturale difendere l’autenticità della propria singolarità. E’ su queste basi che ho riflettuto dopo aver legittimato i confini della mia libertà di pensiero, di parola, di associazione, e dopo aver provato per un attimo a fingermi in un ambito molto più stretto, sempre più stretto, fin quando non ho avvertito la disumana percezione che la mia come la vostra personalità  stavano per essere annullate.

Bisogna seriamente riflettere su guerre ovunque, in cielo, in terra, su cadaveri di giovani deceduti, sui genocidi, su poche persone che hanno deciso e che decidono il nostro destino su questa terra, spesso ci dimentichiamo di ciò perché preoccupati unicamente di sopravvivere. Alle stragi naziste, fasciste, comuniste, agli uomini ricondotti a numeri, alle assurde leggi razziste, tutti ci dobbiamo interrogare se sia stato meglio morire ad Aushwitz o vivere dopo.

La resistenza , la tenacia dei partigiani e di folle esauste per fame e disoccupazione,  stanche di soprusi hanno costituito un barlume di speranza che si è tramutato in realtà proprio per mano della disperazione.

Come in questa data importante nacque mia madre,  mi piace pensare che l’Italia nacque o forse risorta il 25 Aprile di 78 anni fa, seppur dalle ceneri di un qualcosa che non dovrà mai più esistere, ma che non dobbiamo dimenticare. La coscienza è memoria del passato e questo dovrà essere il presupposto per un futuro degno di noi stessi.

 Per non dimenticare la festa del 25 aprile e rendere memoria viva, prendo in prestito, si fa per dire,  il richiamo del Presidente della Repubblica Mattarella sul costituzionalista arbëresh Costantino Mortati :

“La vita democratica, dopo il cupo ventennio fascista, ha le sue radici nella lotta di liberazione. E la nostra Costituzione, sigillo di libertà e democrazia, come scrisse Costantino Mortati nel 1955, nel decennale della Liberazione, ‘si collega al grande moto di rinnovamento espresso dalla Resistenza’”. Lo ha ricordato  il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo a Casoli (Ch) .

 Il costituzionalista Costantino Mortati non guardava alle formazioni sociali come corpi intermedi che assicurassero la presa politica dell’esecutivo in ogni spazio dell’agire sociale. Esigeva che i partiti fossero una forma dell’esercizio della sovranità popolare. Il luogo della formazione della classe politica, l’osservatorio delle dinamiche dell’azione di governo, e non del consenso fine a se stesso.

 Da ricordare l’altro padre della costituente Piero Calamandrei che ebbe a dire: << Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione >>.  Sono celebri parole che Piero Calamandrei rivolgeva agli studenti milanesi nel 1955 e che consiglio ancora oggi di far ascoltare ai nostri ragazzi. Di Costantino Mortati, che ricordiamo, ha studiato al Collegio di Sant’Adriano, sentirete su Fb  la relazione del dott.  Bilotti Domenico 2015 – 11 – 09 su Costantino Mortati: il disegno della Costituzione, della sua redazione, interpretazione ed applicazione.

Chiudo pensando che in effetti sia stata una guerra fra fratelli,  e ci sono ancora partiti che vogliono avere la paternità dell’antifascismo mentre qualcun altro cerca la parola antifascismo dentro la Costituzione, distratti tutti, del primo articolo della nostra Costituzione.

COSTANTINO MORTATI

di

Dott..Bilotti Domenico 2015 – 11 – 09

Costantino Mortati: il disegno della Costituzione, della sua redazione, interpretazione ed applicazione

Commemorare la figura e l’opera di un giurista è un’operazione complessa, ben più di quanto già non lo siano i tributi agli artisti, ai letterati e alle altre figure intellettuali che lasciano un segno durevole del proprio percorso concettuale. Per il giurista, infatti, è ancora più probabile che la commemorazione debba incentrarsi sul riscontrare le aporie tra quanto l’Autore aveva teorizzato e messo a punto e le modalità (contraddittorie, caduche, ingannevoli) della sua attuazione pratica in un ordinamento giuridico dato.

Costantino Mortati, nato a Corigliano nel 1891, è tra i protagonisti di un momento oggettivamente irripetibile nella storia italiana, uno di quelli dove diventa più facilmente percepibile la distanza tra la promessa e il risultato, tra il progetto di idee e valori e l’applicazione affidata (o usurpata) in conto terzi. Mortati si forma, infatti, negli anni della Prima Guerra mondiale. Raggiunge la parte più impegnativa del proprio sviluppo teorico a regime fascista ormai instaurato. Non può qualificarsi, in questa fase, esponente di un’opposizione simbolica, come fu quella dei Croce e dei Ruffini, o ancor meno di un’opposizione militante, come molti dei fautori del federalismo di seconda generazione. Ma anche nei decenni del regime l’opera di Mortati non sembra affatto ossequio connivente o complicità mal travestita. L’A. partecipa, poi, all’irripetibile esperienza della Costituente. Per la Democrazia Cristiana, che contribuì ad orientare su posizioni più mature e consapevoli di quelle che il partito cattolico rischiava di reiterare acriticamente alla sua riorganizzazione. Infine, oltre che schivo giurista d’accademia, giudice della Corte Costituzionale -organo le cui competenze concorse a perfezionare, nelle fila della “Commissione dei Settantacinque”, il nucleo ristretto dei deputati dell’assemblea incaricati di proporre il progetto di costituzione repubblicana. Accanto agli studi giuridici e alle numerose responsabilità personalmente assunte, Mortati percorse con profitto anche gli studi filosofici. 

Non si trattava per Mortati di un’erudizione fine a se stessa: l’approccio filosofico, al contrario, forniva elementi ulteriori e complementari al ragionamento giuridico, anzi, riuscendo a descriverne i presupposti meglio di molte altre scienze affini. Prova ne sia che i temi di studio di Mortati sono numerosi. Alcuni ben noti (come l’elaborazione intorno alla nozione di “costituzione materiale”, non curiosamente a Statuto in vigore e a regime avanzato), altri inadeguatamente obliati, come gli studi sulle forme di governo, sul ruolo costituzionale dei partiti o sulla tutela del lavoro, al tempo di grandi trasformazioni produttive. In questa sensibilità, Costantino Mortati è pienamente uomo della generazione della Costituente. Deputati eletti che percepivano l’irripetibilità del contesto creatosi e il sollievo per la liberazione, ma che non si illusero di potere redigere un testo ermeticamente chiuso alle esigenze attualizzanti del cambiamento e agli inderogabili impegni dell’attuazione pratica. La stessa accezione di “costituzione materiale” concepita da Mortati, e per altro verso non di rado strumentalizzata come cinico elogio dei risultati della decisione politica, è segno della consapevolezza di questa dinamica intrinseca agli ordinamenti giuridici.

Alla stessa stregua, nell’interesse di Mortati per i partiti politici -anche prima dell’entrata in vigore della Costituzione- stava la grande intuizione sulle virtù della partecipazione politica. Pure il lavorio intellettuale di Mortati sulla forma partito è stato non occasionalmente e, forse, consapevolmente equivocato. Quando la miglior chiave di lettura della riflessione dell’A. sarebbe da potersi ritenere proprio l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. In essa, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È una proposizione relativa quella che specifica l’esercizio della sovranità popolare, non ci sono toni avversativi. Che le forme e i limiti siano quelli dettati dalla Costituzione avrebbe potuto e dovuto significare che quella sovranità non potesse essere usurpata da una integrale spersonalizzazione dei meccanismi di delega. Né svuotata dall’inflazione e segmentazione della consultazione elettorale, né smodatamente attuata con linciaggi, violenze e inosservanza di qualsivoglia garanzia universale.

Il ruolo del partito politico avrebbe potuto e dovuto, anche stavolta, essere cruciale, ma lo è stato assai più spesso in violazione (e non a sostegno) dell’articolo 1. La repubblica dei partiti non è stata la Repubblica democratica fondata sul lavoro. Proprio perché la dirigenza dei partiti politici ha progressivamente rimosso l’utilità della riflessione collettiva sulla forma partito. La centralità del partito politico per Mortati non era affatto la prosecuzione del corporativismo fascista con altri mezzi. Lo Stato fascista era coattivamente monopartitico. Mortati non guardava alle formazioni sociali come corpi intermedi che assicurassero la presa politica dell’esecutivo in ogni spazio dell’agire sociale. Esigeva che i partiti fossero una forma dell’esercizio della sovranità popolare. Il luogo della formazione della classe politica, l’osservatorio delle dinamiche dell’azione di governo, e non del consenso fine a se stesso. Non è un azzardo vedere nelle funzioni che Mortati assegna al partito politico le medesime necessità storico-culturali che il demolaburista Ettore Lombardo Pellegrino tra gli anni Dieci e Venti del secolo XX sembrava intravedere nello sviluppo della rappresentanza sindacale. Le formazioni sociali vengono così restituite alle loro istanze primarie: canali della partecipazione, a beneficio del libero svolgimento della persona.

Non sembra coerente, come pure sin troppo spesso si fa, ravvisare in Mortati una incompiuta via di mezzo tra la dottrina kelseniana e la teoria della sovranità di Carl Schmitt. E proprio avere descritto la dinamicità della costituzione materiale (pur sempre correlata a un nucleo di indisponibile costituzionale, al cui mutare muterebbe, stravolgendosi, anche la forma di Stato) consente di vedere Mortati ben più che come un “modesto derivatore”. Devoto, senza fantasia, alla comparazione giuridica -di cui pure fu precursore. Nella costituzione materiale non c’è spazio per l’elogio, quasi iconografico, della norma posta, né per l’affidamento dogmatico alla norma presupposta.

Il sistema kelseniano, a ben vedere, si rivela molto utile nel concepire una teoria gerarchica dell’amministrazione, ma si arresta nel descrivere i meccanismi che fanno di una costituzione, effettivamente, la costituzione. Forse, qualche somiglianza in più può vedersi tra la teoria di Mortati e la costruzione a gradoni dell’ordinamento, immaginata da Adolf Merkl, altro giurista della “grande Vienna”. Solo che, almeno sul piano ideologico, il sistema merkliano immagina un’elevata comunicazione tra un gradino e l’altro, mentre Mortati sembra curarsi, se si resta in metafora, anche della comunicazione all’interno di ciascun gradino.

Né si può dire che Mortati aderisca al decisionismo schmittiano, tutto schiacciato sull’idea dell’eccezionalità come sede ultima per verificare in nome di quale titolo (e con quale forza) si eserciti il potere del governo. Il costituzionalista Mortati non poteva avere fiducia in un ordinamento che per descrivere il funzionamento dei propri organi facesse costantemente riferimento all’emergenzialità (persino nelle norme relative alla deliberazione dello stato di guerra il potere, nella Costituzione, non è mai privo di perimetro). E il filosofo Mortati non poteva attribuire carattere assolutistico a un decisore singolo, isolato, slegato dalla vivace materialità dei rapporti sociali e della loro necessaria dimensione collettiva.  

Questi pochi elementi di riflessione non vogliono sostituirsi ad uno studio più accurato su un giurista che ha percorso quasi per intero la parabola novecentesca e che, nella sua formazione, ben testimoniava lo zelo e l’aulicità di una stagione ormai tramontata. Vogliono, però, servire, se sarà loro possibile, ad aprire un dibattito su quanto di attuale vi sia nelle intuizioni di Mortati. Probabilmente fuori da metodologie superate o da itinerari di riformismo giuridico mai attuati e, perciò, fuori tempo massimo. Bensì, con l’intenzione di ragionare collettivamente sul lascito più importante dell’Assemblea alla neonata Repubblica. Talora mitizzata, ancor più facilmente stracciata, la sua Costituzione. Pur se tra oblio ed abuso di revisione, i patrimoni di idee son sempre merce rarissima.  Dott. Bilotti Domenico.

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Attività di svago e tempo libero a San Demetrio Corone dal Piano Marshall in poi.

Una storia scritta da un perdente, è un esercizio che mi riesce bene e mi riconcilia con il mio sacro poco.

di Angelo Lino Luzzi  ©

ALBANY JAZZ

Lo svago e il tempo libero non hanno mai conosciuto crisi nei  nostri paesi arbëresh. San Demetrio poi, battezzata come era, capitale della Diaspora in Italia, non poteva venir meno alle riconosciute attitudini alle iniziative. Subito dopo l’ultimo conflitto mondiale, per ovvie ragioni, aumenta e si diffonde l’arte creativa e del reinventarsi.  Come la nostra storia avrà modo di raccontare, molto nutrita risulterà a San Demetrio Corone la lista di pregevoli iniziative in vari settori. Nonostante l’isolamento geografico della nostra cittadina arbëreshe con le importanti vie di comunicazioni,  la presenza del collegio italo-albanese di Sant’Adriano e del Liceo-ginnasio, secondo me il genius loci, ha consentito al paese di non rimanere emarginato e di assumere atteggiamenti mentali e comportamenti pratici coerenti ,con il resto della società nazionale. Pertanto, le nostre attività di svago e l’impiego del tempo libero, rientrano in un mosaico di storia locale impagabile, perché testimoni di tracce di una civiltà gloriosa e decorosa e moralmente edificante.

Senza entrare nelle più ampie accezioni del tema, l’intento è far emergere dal quadro comune, l’eccezionalità di quell’insieme di nozioni da cui i giovani possano attingere con le dovute riflessioni, motivazioni, informazioni, cultura e solidarietà che ci ha accomunati, nonostante altro. Soprattutto, riflettere su quella intrinseca dignità che pur nelle difficoltà quotidiane, anche in quelle esistenziali da  Cagniuli e Ghiegghi del periodo, è stata capace di riempire il lento scorrere del tempo nella maniera  creativa e intelligente, lasciando un’impronta per tutta l’Italia..

Tratti sempre da: “San Demetrio Corone tra politica, cronaca e storia”, estrapoliamo dal brogliaccio“ Attività di svago e Tempo libero”, alcuni momenti  , durante e dopo il periodo del famoso piano Marshall americano che prevedeva aiuti per la ricostruzione d’Italia.

Nel contesto politico degli anni, sono inserite tutte quelle forme di attività di svago e tempo libero, maschili e femminili avvertite all’indomani del 1945, come necessità aggregative e di riscatto sociale come, durante il periodo della riforma agraria, dell’OVS e degli enti di sviluppo Opera Sila e sui corsi di formazione di economia domestica, di istruzione generale a San Demetrio Corone. Prima della narrazione, è dobbligo chiederci a freddo: siamo riusciti a creare o ad interpretare il futuro e la rinascita a San Demetrio dopo il piano Marshall (1948) , se stiamo assaporando un reale cambiamento solo dal 2022?

A questa domanda risponderemo con questa mia collana ,EPISTEMI, dai corsivi corsari, per tutti coloro, convinti, di non essere stati mai “ ZZOPA DJEGLIS “. Questo anemico deterrente avverso ad ogni forma empatica e di dibattito non ha giovato  a San Demetrio, relegandolo sempre più in fondo ai gradini dei processi evolutivi. A parte ogni similitudine, la storia questa volta sarà riscritta  da uno dei perdenti, è un esercizio che da perdente mi riesce bene, sarà l’elogio alla sconfitta come quella di Rosaria Gasparro, e mi riconcilia con il mio sacro poco.

 All’indomani delle elezioni del 1948,l’Italia repubblicana deve affrontare non solo le conseguenze economiche dopo la sconfitta alla seconda guerra mondiale ma organizzare la vita pubblica. Dal 1948 al 1953 la situazione economica non era florida e da noi nel sud, povertà e arretratezza diffusa.

 Dal 1954 in poi, maggiormente dal 1958 al 1968 si assiste al miracolo economico cioè al boom economico. A San Demetrio Corone si iniziano a copiare modi e stili americani, fra cui musica di importazione americana e film di Hollywood.

Era il periodo quando ricevetti il più bel giocattolo della mia vita

“Piazza Rossa ” Corso Domenico Mauro

Piazza Rossa e iniziai a giocare  tra il covo comunista della trattoria la Rosa e la nobles locale seduta sulle tribune dei gradini della farmacia Debellis. Erano i tempi di Don Giorgio Esposito arciprete del paese con la sua moto Rumi e le iniziative volte ad aggregare come le attività

Esposito don Giorgio già Arciprete di San Demetrio Corone

con la sala dietro la chiesa madre fornita di televisore, dove ci si poteva incontrare e preparare eventi come è stato per me il primo varietà musicale ” Skanderbeg 60 ” con debutto al teatro del Collegio.

C’era poi la squadra di calcio GIAC

Formazione della Giac – Gioventù Italiana Azione Cattolica

che si controponeva alla squadra di calcio Dinamo del PCI dei Clementino

Formazione DINAMO giovani del PCI di San Demetrio Corone

La storia ci ha lasciato molti aneddoti, foto e circostanze alla Guareschi che puntualmente riempiranno questi fogli facendoci compagnia nelle giornate uggiose. Mandate aneddoti, su tutti i temi che tratto, come compagni di viaggio alla narrazione.

Intanto cominciamo con

L’ ALBANY  JAZZ

ALBANY JAZZ – San Demetrio Corone -cs

L’Albany Jazz nasce come complesso musicale a San Demetrio Corone nella seconda metà degli anni 50 nel periodo delle speranze, dei sogni e perché nò, del Rock ’n’ Roll, del jazz, dello Swing, del tango, della brillantina nei capelli, il taglio all’umbertina e ciuffetto all’in su. Con il piano Marshall avviato si attendevano ripresa e sviluppi economici. Chi avrebbe potuto immaginare che in un paesino di 5791 abitanti, sperduto tra le colline della Pre Sila Greca, lontano dalle importanti arterie di comunicazione, ma vicino all’avvento  della televisione, si sarebbe potuto dare corpo alla formazione dell’Albany Jazz.

Da una parte, il suo nome difendeva una appartenenza di secoli di storia, dall’altra una “Y” e un “ JAZZ”, che speculava il glamour dell’ ”american style” tipo Glenn Miller. Era l’era di Elvis Presley, e delle varianti del Ritmo e del Blus e del Country ma anche di Aznavur, Piaf, Togliani ,Consolini, Pizzi, Kramer e della immortale canzone napoletana Carosone, Bruni , Murolo, Di Capri. Il merito di questa formazione, udite le testimonianze dei componenti, senz’altro và a Carmine Lavorato, barbiere in via Maratona prima e a piazza Monumento dopo.

Sui tubi di piazza Monumento, penultimo seduto è Carmine Lavorato con amici

Un grande sostenitore di questa orchestrina è stato il parroco del paese , Soti Giorgi Esposito , perchè ha avuto un gran da fare per tirare su questi giovani  attraverso programmi estivi in Sila e fasi teatrali al Collegio Sant’Adriano.

Albany Jazz in Sila -19 Agosto 1959

Campo estivo della Gioventù Italiana Azione Cattolica in Sila

( Tarantino-Lavorato-Don Esposito-Solano)

Quella simpatica orchestrina, senz’altro figlia del genius loci del teatro del Sant’ Adriano, oltre a  soddisfare quella nostra generazione ancora incerta tra sogni e bisogni, riempiva gli intervalli e l’avanspettacolo dei drammi e dei varietà musicali che la “Filodrammatica ” del Liceo Ginnasio del Sant’Adriano, puntualmente nel periodo di Carnevale offriva ogni anno.

 La loro sigla musicale era PASSION FLOWER”, in italiano “ LA PASSIONE DEL MIO CUOR” con il classico coro…wacciùwaruwaruwà !!!.L’altro pezzo forte PETIT FLEUR Prima ancora ricordo un’altra sigla che spero almeno di rielaborare come la ricordo; si trattava di una Begin , con un gingle cantato con la parola “ Varechina, Varechina Uè, Varechina Varechina Ué, di difficile interpretazione, ma musicalmente in armonia e senz’altro frutto dell’estro e della fantasia del gruppo. Quotati in tutto il comprensorio, riuscivano a rallegrare feste e serate anche nelle trasferte estive.

  Durante le “passeggiate scolastiche” del liceo-ginnasio, i maschietti avevano come punto di riferimento le querce dell’attuale ristorante Corsini, per le ragazze la strada per Kozzi Mundit . Era Totonno Baffa con la sua fisarmonica a rendere felici e spensierate quelle ore con le sue magiche suonate, Una volta ricordo, durante una passeggiata ,  io e un compagno di scuola siamo andati a Marzile in quel sottopasso (ruga) dove sopra abitava Paolina e Dushkut, a prendere la fisarmonica che tenevano in un magazzino dove loro si ritrovavano e che chiamavano Bazar.

La Casa di Paolina e dushkut

Luigi Giampietro

La sede dell’Albany Jazz era nella “ruga di Paolina ” sotto la finestra della camera dei miei genitori. Ricordo che la comare Paolina inveiva specie contro Adriano Solano perchè il tamburo “sdirrazzava le galline”. Quanti ricordi !!

Prima porta a destra il Bazar Albany Jazz

foto interno dopo oltre mezzo secolo

Stiamo parlando di una casa della Gitonja tek rahj i Loshtraret ( Vicinato della collina degli antenati), quindi la prima gjtonja più antica costruita contemporaneamente o appena dopo la casa Lopes a Murmurica. Scendendo dall’attuale via Maratona, e da palazzo Chiodi, raggiungevano da Granato la via del Calvario posizionato vicino all’attuale pasticceria Stilla , per poi raggiungere la chiesa madre dall’attuale piazza Monumento.

Durante le mie ricerche su tutte le Gjtonie del paese, mi sono incuriosito da un suggerimento di mia madre, oggi 97enne, che a sua volta aveva ereditato da sua madre morta a 103 anni l’indicazione di questo luogo come Rahj i glioshkavet. Dopo una risata e un bel pò di tempo, spremendomi, ho tolto la gl italo-arberesh e ho messo la l albanese alla parola loshkavet e sono risalito a loshtraret che significa antenato, antico e rahj e una collinetta.

Da tenere presente quella supporta raggiungeva via Marzile ed era trafficata da tutti da e per Acri.

Sotto la parte est della casa verso via Marzile

I componenti erano Adriano Solano, batterista del complesso, al clarinetto Ariosto De Rose, come cantante, solista e corista di alto spessore, arrangiatore , sassofonista e impareggiabile fisarmonicista Totonno Baffa, che riusciva ad incantare con la sua “Voce e notte” chiunque. Al mandolino e chitarra Carmine Lavorato, chitarra accompagnamento Franchino Sposato, le maracas, si accasavano spesso e volentieri dal volontario di turno, fosse anche Antonio Basile, abile anche a maneggiare le spazzole e bacchette della batteria.. Il cantante delle grandi occasioni e immancabile ad allietare le serate al Sant’Adriano, era Ettore Cardamone da Corigliano, disponibile a concedere bis, come nella interpretazione della canzone “ La Novia” di Tony Dallara.

Con Ettore Cardamone mi sono intrattenuto più volte quando occasionalmente facevo visita a mia zia Nina Santelli nei pressi dell’ Ina Casa a Corigliano e successivamente ho avuto conferma da Adriano Solano che lo stesso faceva all’epoca l’istitutore al collegio Sant’Adriano, con Mario Visciglia considerato bravo cantautore e chitarrista.

Cantante Ettore Cardamone a destra della foto Franchino Sposato

Altri componenti si sono alternati o aggiunti come il caso di Demetrio D’Amico e altri. Intanto come vediamo nella foto seguente, cominciava a fare capolino con il canto, mio cugino Demetrio Luzzi, che aveva ereditato dallo zio voce e musicalità tanto da essere etichettato “ Palmerino”. Da cantante solista ha inciso un disco- lancio a Roma.

Teatro del Collegio Sant’Adriano – Cantante Demetrio Luzzi

Al teatro del Sant’Adriano molto atteso era  lo spazio dedicato ad una sorta di varietà le cui satire caricaturali non risparmiavano personaggi come il  preside, docenti, bidelli della scuola e del collegio e quelli della vita locale. La scenografia   del varietà aveva come sfondo un  enorme telone  3,50×3, raffigurante piazza monumento dipinto da Federico Braile , come da foto.

Quel telone era la scenografia rappresentativa dell’agorà del paese,  azzeccata anche per  la famosa “ Alle cinque della sera “ di Federico Garcia Lorca, parafrasata in un a solo per voce e chitarra , con sedia e luce ad occhio di bue, dall’abilissimo Mimmo Tallarico che ha saputo incantare tutti con il suo flamengo, dovizioso di arpeggi. Era l’allegoria alla Sandemetrese chà chà chà che in quel periodo aveva pervaso luoghi e discorsi a San Demetrio, a tal punto che tra gli spalti del “Civetteria” regalavano scorci di appartenenza per la presenza di pubblico femminile frequente e dal vestito tradizionale.

Demetrio Tallarico

Alle cinque della sera

        Alle cinque della sera se tu vai al monumento

        sempre il solito argomento

       della partita c’è il commento oppur dell’allenamento

       alle cinque della sera là…….. al monumento

       Alle cinque della sera se tu vai da Maurino

       tra ferramenta, vasche , piastrelle e sacchi di cemento

       sempre il solito argomento

       della Sandemetrese c’è il commento

Alle cinque della sera

     di Tarantissimo grida da pazzo

        quel rossanese di Monaco Micuzzo

         pronto a dare il suo commento,

       alle cinque della sera là…. al monumento

       Alle cinque della sera se tu vai al monumento

       Sempre il solito argomento

       Di palloni, scarpe e reti c’è il commento di,   

       Mister Tony Foti Baffa e Gangitano,

       Capatazzo e Provenzano

       Alle cinque della sera là…….. al monumento……..

                               …… continua…..

Delle serate teatrali e musicali al Sant’Adriano continueremo a raccontare la storia di questo gruppo molto affiatato e dai tanti aneddoti da giamburrasca che tenevano vivi gli ambienti esterni ed interni di questo collegio, attraverso, anche i “ filoni” e la scusa delle pratiche artistiche, che si contrapponevano alla rigidità degli insegnanti.

Oltre alle serate e alle trasferte a Malvito e in altre località, parleremo dell’Albany Jazz anche della loro “batteria ” data in regalo ai Maya  e finita nel dimenticatoio delle gratitudini, come al solito.

Termino questa parte chiedendo venia se mi discosto apparentemente dall’argomento, ma questo periodo scolastico e le attività esterne al collegio, trascinano nel percorso simpatici aneddoti vissuti dai protagonisti di questa orchestrina. Dei componenti continueremo a parlare così come dei componenti, compreso lo scrivente, del Primo Varietà Musicale “ Skanderbeg 60 “,  firmato da (Minosse-Ulisse) Adriano Solano, il primo giornalista-pubblicista locale, animatore e vero protagonista in molti settori e in più fasi della storia sportiva sandemetrese

Adriano Solano

In quel varietà musicale c’è stata la partecipazione  di studenti del liceo-ginnasio, tra i quali figuravo anch’io. Pubblicherò il copione di quel varietà di 60 anni fa. Al collegio di Sant’Adriano, in quel tempo, si frequentavano : 1°,2°,3°,4°,5° ginnasio e 1°,2°,3° liceo. La foto seguente mostra una selezione mista che il professore di educazione fisica Silvio Pranno stava preparando per il  “saggio atletico” annuale, molto atteso in vista dei campionati scolastico provinciali

Preparazione mista per il saggio scolastico ( 1962/63)

Dalla sinistra A Lino Luzzi, dietro di me Lavorato Angelo, in fondo Altimari, e al mio fianco Mario Faraca e altri, mentre la professoressa Sogna Bibin Mazziotit preparava il saggio alle ragazze.

Da sinistra Lucrezia Serra-Bibina Mazziottit-Giovanni Cava-Ninina Camodeca-Totò Marchianò

Albany Jazz……Continua con tante altre foto

Complesso musicale  FULL FUK

Intanto, senza reticenza alcuna sull’elenco di tutti i complessi musicali che si sono succeduti, ma con lo scopo di legare  gli interessi e tempo libero condivisi, sebbene in epoche diverse, registriamo come anno 2010, l’ultimo gruppo musicale formato a San Demetrio Corone. Si tratta dei FULL FUK….. che io traduco in   “ un buono gratis per l’acquisto di un  Vaffà n’ … Il primo complesso e l’ultimo sempre americaneggianti nei nomi

Ultimo complesso a San Demetrio anno 2010- I FULL FUK

Sono giovani che al momento della foto avevano 16 anni che avevano già conquistato le simpatie delle teenagers nelle occasionali uscite musicali. Chitarra solista Francesco Damico, chitarra ritmica Cosimo Gangitano, batteria Adriano Gabriele e al basso Marco Falcone. Il tipo di musica che occasionalmente suonavano racchiude una larga parentesi che potremo sintetizzare dal Pop al rock- Metal , una intrigante musica tutta da scoprire. Avremo modo in seguito di offrirvi qualche nota musicale, intanto voglio rassicurare gli altri  complessi musicali esistiti ed esistenti a San Demetrio Corone, saranno menzionati TUTTI , così come troveranno spazio tutte le altre forme “artistiche” espressioni di una creatività sempre in cammino nella storia del nostro paese.

Seguiranno oltre gli approfondimenti di cui sopra, altri capitoli di

ATTIVITA’ DI SVAGO E TEMPO LIBERO A SAN DEMETRIO CORONE

(Tratto da : S. Demetrio Corone tra politica, cronaca e storia)

( Attività Sportive : Calcio – Boxe- Bocce- Rolla – Atletica leggera )

L A S T O R I A   D E L  C A L C I O   –  SANDEME’  CIA’ CIA’ CIA’

…….continua……

LA SANDEMETRESE NELLA STORIA DEL CALCIO – Torneo Internazionale Roma 1991

LA SANDEMETRESE NELLA STORIA DEL CALCIO – Torneo Internazionale Roma 1991

LA SANDEMETRESE – NELLA STORIA DEL CALCIO

(Torneo Internazionale Giovanile – Roma,1991)

di Angelo Lino Luzzi

La storia calcistica Sandemetrese è un insieme di momenti pieni di fascino e di entusiasmo a partire da un racconto del 1919, sarà  una successione di fatti e di episodi e di foto, di interviste audio e video che richiameranno nomi di giocatori, di dirigenti, di pubblico, di luoghi.

Racconteremo dei campionati di calcio legati alle alterne conquiste, specialmente quella sensazionale che  ha portato la squadra Sandemetrese in Promozione, l’unico traguardo ufficiale e importante raggiunto nella sua storia. Racconteremo delle partecipazioni alla Coppa Italia Dilettanti,  di calciatori sandemetresi convocati nelle rappresentative calabre e di richieste di ingaggio da parte di squadre italiane.

Dopo un riordino di materiale interessante come le interviste e talvolta il restauro di documentazioni, foto, audio e video che in qualche caso rischiavano di andare disperse, desideroso di mettere a disposizione la mia pluriennale e modesta esperienza acquisita nel campo giornalistico radio-televisivo, sono stato indotto e motivato a confrontare la  possibile vera storia dello sport , dello svago e tempo libero a San Demetrio Corone, con la voglia di regalare  alle nuove generazioni alcuni momenti di storia sportiva a loro sconosciuta e rendendo un doveroso omaggio a quegli uomini che hanno reso possibile e fatto grande lo sport sandemetrese.

Ritengo importante ed emozionante ricordare alcune pagine della nostra storia sportiva che permettono ad ognuno di viverle come proprie, come se fossero pezzetti della propria personale storia, specialmente dopo  il consenso  delle migliaia di ponderate visualizzazioni ( circa 8000 in un arco di tempo breve) raggiunte da questo sito dopo la pubblicazione delle mie ultime ricerche locali su temi inerenti l’intera storia di San Demetrio Corone e il suo territorio.

Esserci trovati, io e Demetrio Provenzano ( Spamienti ), entrambi sopra il solaio degli spogliatoi della Sandemetrese Chà Chà Chà, ci consente oggi raccontare particolari vicende rimaste legate non solo alla storia locale.

Come si sà commissari tecnici della Nazionale sono dappertutto ma pullulano specialmente  quando la creativina accende qualche lampadina e per ciò, nel pieno rispetto di ogni opinione, ognuno è libero di osservare, soffermarsi, sottolineare e mettere la virgola, l’accento dove vuole e quando vuole, IO SONO QUI’ ;  per qualsiasi delucidazione:    linoluzzi@libero.it  –     e cell.3204856527.   Grazie

 

TORNEO INTERNAZIONALE – ROMA – 29 Giugno 1991

 

Oggi ci occupiamo dell’esperienza internazionale del calcio giovanile della Sandemetrese impegnata in un torneo internazionale a Roma  presso il Centro Sportivo Villa Gaia – A.S. Borussia nel lontano 29 Giugno 1991.

Sono state 16 in tutto le squadre con rinomati club stranieri provenienti da Spagna, Francia ed Austria.

Le due giornate sono riuscite a riempire le tribune con un gran numero di spettatori. Un indimenticabile pomeriggio nel meraviglioso impianto sportivo di Villa Gaia, nel quartiere di Via Grotte Celoni e un secondo pomeriggio nel campo di calcio “ Torre Nova” nel quartiere dell’Alessandrina.

Il torneo giovanile era diviso in due categorie: Giovanissimi ed Esordienti.

Nella Sandemetrese Giovanile

GLI ESORDIENTI  guidati dal Mister Giuseppe Canadè – La rosa a disposizione, classe 78/79, convocati:

Abbruzzese, Greco , Liguori, Grillo, Scaglione, Abbruzzese, Gagliano,Abbruzzese, Serravalle, Basile, Bellucci, Liguori Salvatore, Rumanò, Toscano, Sposato, Oriolo, Sammarra, Gabriele 1, Gabriele 2.,Abbruzzese, Abbruzzese, Gagliano,,R

I GIOVANISSIMI classe 76/77 convocati da Mister Gennaro De Cicco erano : Funera, Bua MARCO, Bua Andrea, Cadicamo, Rotondaro Vincenzo e Rotondaro Denis, Pedace ,Liguori Luca, Pisano, Caruso, Sposato, Bua Domenico, Grillo, Mauro Michele.

LE SQUADRE NEL V° TORNEO

PER L’ITALIA

A.S. BORUSSIA di Roma –  LA STRANGOLAGALLI di Frosinone  –  LA CARASSAI di Ascoli Piceno  – 

LA SANDEMETRESE di Cosenza  –  IL BRUNICO di Bolzano

Europa

LA SPAGNA con il SANTA CREUS   – LA FRANCIA con IL MARSIGLIA  –  L’AUSTRIA con L’ SSV.

 

LE RETI

SANDEMETRESE – BORUSSIA  (1-1)   gol di Pedace

SANDEMETRESE – SANTE CREUS (0-1)autorete Cadicamo

CASSARAI – SANDEMETRESE (1-1)  gol Liguori Salvatore

BORUSSIA-SANDEMETRESE (1-1)       gol  Rumanò

BRUNIK-SANDEMETRESE (0-3)         gol due reti Toscano, una rete Liguori

 

FINALE ESORDIENTI

SANDEMETRESE – SPAGNA  (1-2)  Rete di Liguori pallonetto in uscita

Secondo posto con coppa disciplina

Totale reti Liguori 3         Toscano 2

 

FINALE GIOVANISSIMI

Sandemetrese 4° posto

Il premio disciplina è risultato prestigioso in questo torneo in quanto una ammonizione comportava la penalità di punti in classifica. Per la Sandemetrese, debuttante all’internazionale, è stata dura per i tempi e il calendario degli incontri. Tutti i ragazzi sebbene stressati dal viaggio e dalla logistica di pernottamento, hanno saputo tenere duro alle altre squadre giunte a Roma con qualche giorno di anticipo.

La carica data da molti studenti e compaesani e gente della provincia di Cosenza presenti sulle tribune è servita da stimolo alla Sandemetrese. L’opinione presa in diretta dal pubblico sottolineava la buona preparazione dei ragazzi preparati da Giuseppe Canadè e Gennaro De Cicco.

Dal punto di vista complessivo, positiva l’esperienza e i giovanissimi a parte l’autogol di Cadicamo hanno perso l’ingresso in finale dopo aver sfiorato il gol più volte e colpito in pieno una traversa.

Il Torneo presentava un ricco calendario di appuntamenti culturali, obiettivi inseriti tra le finalità del torneo, per cui la rappresentativa Sandemetrese era accompagnata da una nutrita rappresentanza con in testa il già Sindaco di San Demetrio Corone Antonio Basile, seguito dal presidente della Sandemetrese Antonio Sposato , in veste anche di assessore al Turismo, dal vice-presidente Marcello Marchianò dal mister De Cicco in veste anche di assessore alla Cultura, da Giuseppe Canadè allenatore esordienti, dal presidente degli allenatori settore Rossano , Giorgio Pisani e da Bua Domenico, dal direttore tecnico sportivo Giuseppe Macrì e dall’assessore comunale Giuseppe Pignataro, e dall’addetto stampa Angelo Lino Luzzi

Raffinata e accurata la divisa predisposta dallo sponsor Demetrio Sposato Mobili che ha abbinato questa volta i colori sociali con l’abbigliamento esterno del dopo partita lasciando intravedere un distinguo raffinato e signorile.

Doverosi ringraziamenti vanno al presidente della circoscrizione romana per le interviste concesse  dal presidente della circoscrizione e dal presidente  R. Valentini del Centro sportivo A.S. Borussia di Roma.

Al compianto Damiano Greco , sandemetrese , già preparatore atletico del Centro Sportivo Borussia il merito della presenza e partecipazione della Polisportiva Giovanile Sandemetrese al torneo internazionale di Roma.

Ad Angelo Lino Luzzi, l’onore di essere stato accreditato come giornalista e aver consentito di portare a casa risultati e documentazioni che possono solamente giovare al nostro paese.

NB: Agli appassionati, desiderosi dell’evento, sono stati predisposti 4 video numerarti secondo la sequenza, coperti da © ma ancora privi di lavorazione.

 

Con il video che segue inizia il primo tempo Sandemetrese – Brunico e le formazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I L CARNEVALE                                                                            TAFINI – DJELLSIT – LE MASCHERE

I L CARNEVALE TAFINI – DJELLSIT – LE MASCHERE

IL CARNEVALE

TAFINI nella tradizione arbëreshe a San Demetrio Corone

DJALLTHI – Djèllëzit – Le Maschere

 

(Ricerche di Angelo Lino Luzzi)

La tutela , il recupero e la promozione della lingua con la diffusione delle nostre tradizioni popolari sono state le priorità nell’impegno e nell’azione dell’associazione Shpirti Vendit-Genius Loci.

Considerato che l’Associazione Shpirti Vendit – Genius Loci per finalità statutarie  tutela il patrimonio Arbëresh, promuove il suo  recupero e incentiva  il Turismo Culturale, Sostenibile ed Enogastronomico attraverso una proposta di progetto Evento strategico innovativo e inclusivo,  ritiene opportuno marcare i tratti distintivi  del Carnevale Arberesh, emersi recentemente da una ricerca sul campo.

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Storici, etnologi, folkloristi sono concordi nel dire che le feste del calendario nella fine dell’inverno rappresentano la sortita dei morti, così come le maschere del chiarivari rappresentano i morti della comunità dove tra di loro c’è il morto che ritorna per protestare e dove c’è l’uomo che prende la maschera del diavolo.

Questi improvvisi ed inaspettati scenari appartenenti ad un periodo che concentra alcuni nostri riti tra la Candelora  e le Ceneri, la festa dei morti, il carnevale, le ceneri e i diavoli in sostanza hanno un unico linguaggio, cercano quel collegamento continuo tra il mondo terreno e il mondo divino  ed in mezzo  il diavolo. Per comprendere le origini, senza iniziare dagli Illiri, basta entrare nella mentalità medievale; è necessario immergersi in quel tempo di riti pagani e nella concezione cristiana della vita fondata sulla visione dualistica tra il Bene e il Male, tra Satana e Dio, tra morte, rinascita e resurrezione.

I Diavoli a San Demetrio Corone

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Foto   G. Piro

LA Chiesa  si è adoperata per reprimere i culti pagani e le maschere ma ha pensato  bene di raffigurare il diavolo con tratti bestiali, dotandolo di ali, coda e corna. Fu probabilmente in quel momento che la Chiesa stessa pose indirettamente le basi per la nascita e lo sviluppo del cosiddetto ‘satanismo’, con tutta la relativa iconografia, fenomeno a cui gran parte della odierna cultura di massa abbina il simbolo delle corna e delle pelli a quell’essere con il viso unto.

Il carnevale fin dagli anni ‘80 a San Demetrio Corone si è decise di avviarlo come Carnevale Sademetrese  per poi sparire dall’ambito come sfilata di carri nel sabato successivo alla “ Festa dei Morti”.

Dopo un lungo periodo senza sfilate, un secondo tentativo di recupero riesce solo a ripristinare l’annualità il funerale del Carnevale , cosi detto di zù Nicola, ma non il recupero base della vera tradizione.  Intanto, bisogna sempre e comunque salutare positivamente le iniziative dei “carri”del Carnevale Sandemetrese che non sfila dopo la festa dei morti   ma, arricchisce la titolazione Carnevale Sandemetrese con Arbëresh.

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Noi dell’associazione Shpirti Vendit-Genius Loci partecipiamo tutti e salutiamo con piacere ogni iniziativa per dar vita alla sfilata e a rendere diversa la giornata del Carnevale molto attesa durante l’anno dai bambini. I tratti distintivi del Carnevale Arbëresh a San Demetrio Corone andavano comunque recuperati e salvaguardati per come siamo riusciti a fare.

I risultati ottenuti, non intaccano minimamente lo svolgimento di qualunque carnevale si voglia fare a San Demetrio, come il funerale  col nome di zù Nicola e con una moglie qualsiasi di turno “Nunziata” ma, puntuali osservazioni servono per dare una corretta informazione non solo a tutti gli operatori del turismo ma anche a coloro che abusano dell’aggettivo arbëresh.  

Raccontare il nostro come Carnevale etnico non bisogna andare a disturbare ogni anno con le solite litanie dei Saturnali, di Dionisio, dei Baccanali, oppure la sfilata dei buoi in Egitto in onore di dio Nilo, oppure feste per la dea egizia Iside, ma alla vera tradizione necessita del racconto antropologico che si traduce in ricordi e racconti come quelli di mia nonna Maria Rosa Cassiano nata nel 1886 e vissuta fini al 1989. Alla tradizione servono le testimonianze di quelle persone nella foto, dei bambini nella foto 1 , come quello di A. Lino Luzzi al centro tra i due gruppetti e nell foto 2  è l’ultimo dietro che agita la mano destra, a Piazza Rossa, anno 1955.

 

foto 1

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Foto 2ag21^005 (4)

Si tratta di memorie vissute e praticate con Karnevali Krie e Prèr doj mish e hjiromer , oppure con  Karnevali Krie e Prèr doj mish edhè psrusut e prusut nëng kè ez gà gn shal qenie.

Erano i tempi dei carnevali con in mano ghellin( spiedo lavorato a mano) per poter infilzare salsiccia, lardo, pezzi di carne, e gnë trast e viker (sacchettino)  per altri doni ricevuti nelle case visitate, dove ognuno ti chiedeva  e tì, kuja i biri je( e tu di chi sei figlio).

Chi, come me  ha vissuto intensamente gli anni 50 e 60 tra via Termopili e Piazza Rossa non fà fatica a ricordare cosa ha rappresentato il carnevale in paese. Era divertente e curioso sentire da Koraizma, la moglie del carnevale Tafini (da τάφος) , le satire contro i ricchi e tutti gli aspetti negativi contro i signorotti e politici e le imprecazioni con atti da farsa drammatica: tëghjlqën lesht të shpjèksur e shqiren faqjen me duart, tue thërritur edhè me të birin mbëduar ( strappa i capelli sciolti e si straccia la faccia con le mani gridando con il figlio in braccio).

Una commedia drammatica a cielo aperto, a Piazza Rossa (piazza Strigari centro del paese) dove alle imprecazioni di Koraizma il pubblico che assisteva rispondeva con una battuta,  ripresa a sua volta con maledizioni comiche e romantiche di Tafini, che dall’interno della bara alzava solo la testa e guardandosi intorno rendeva visibile la salciccia e la bottiglia di vino in mano e un imbuto per qualsiasi travaso immediato durante il percorso, e talvolta  a pugno chiuso, faceva penzolare il polso su e giù verso tutti coloro che gli chiedevano se era veramente TAFIN TAFIN TAFERA ḈË HARROJ QICIN TE’DERA.

Battaju (al secolo Salvatore Pignataro, tatmadi Nuzzit), è stato colui che ha vestito i panni della Koraizma e si è alternato a fare anche Tafìnin nella bara.   

Battaju (Koraizma) era dotato di molte conoscenze locali e ricorrendo a metafore e satire, parlava liberamente di fatti nascosti, emetteva giudizi scomodi; era apprezzato e stimato per la sua bravura nell’interpretare il rovesciamento delle cose che definivano  quel pizzico di verità. Possiamo dire che il carnevale a San Demetrio C. ha rappresentato l’infrazione alla norma della quotidianità. Rompeva la monotonia in paese e la presenza annuale faceva sentire il peso di esserci, di contare qualcosa per esplicitare la protesta, come uno strumento di denuncia. In quel giorno tutto era concesso, si invertivano i ruoli sociali…….

Tafini,  (al secolo Demetrio Buscia, tatmadi Pelatit e Mimot) nella bara ha rappresentato il funerale del carnevale morto, con una salciccia in bocca e un imbuto pronto alla bisogna del vino. Tafini era il carnevale nella tomba, colui che per gli eccessi del cibo si era scavato la fossa ma ; Tafini è il carnevale della nostra tradizione e nelle varie accezioni tradotto in greco antico τάφος  significa: tomba, fossa, sepolcro (Sëmbullku a San Demetrio – Sumbullku in altri paesi arbëresh.

A rendere più convincente questa mia intuizione, viene in soccorso una pubblicazione tratta da Onda Lucana© by Costa Bell nella quale, il bravo, esperto e professionista, nonché mio amico  di vecchia data, Costantino Belluscio di Plataci, nell’articolo “Fixat e Javës Së Madhe në Ritin tanë Bizantin-Grek tra l’altro scrive:

 

: <<…..Pasmjesditës kremtohat/thuhat Matutini dhe këndohan “Enkomiat” (Vajtimat për vdekjan e Krishtit). Pas vajtimat bëhat purcjona me “Tàfosin” (sumbullkun e Krishtit), ndëpër udhët e katundit. Pasmjesditës e së Shtunën e shëjt kremtohan/thuh….>>

 “ Tafosin” ( Sumbullcun e Krishtit ), dal loro Arbashkuar, Sëmbùllk=tomba, sepolcro

 

Pertanto, marcare il nome Zù Nicola al carnevale arbëresh è come servirsi di nomi e sinonimi di importazione, lëtir,(latini) come Nunziata che puoi trovare ovunque ed estranei alla nostra tradizione. Come spesso sta accadendo con la nuova generazione di “scienziati/e” locali,  il fai date, stimola i calabresismi e l’american style e le copiature a gò gò fanno il resto e non solo. Ignari del significato intrinseco della Koraizma e ignari del fatto che non bruciamo nessun fantoccio a carnevale, tutto procede a S. Demetrio C. sotto il nome di arberesh  come se nulla fosse accaduto, impegnati come sono  da una ricreazione infinita.

L’antropologia, nella nostra tradizione popolare, negli usi e nelle simbologie antiche del nostro carnevale ci riempie di significati nel rapporto che abbiamo con i nostri rituali, consegnandoci ad una visione chiara, unica e particolare.

Ho tentato di interpretare il rituale del nostro carnevale entro il quadro complessivo della visione tra sacro e profano  che noi Arbëresh viviamo nel periodo che possiamo definire capodanno agricolo ortodosso, legati come siamo al nostro rito bizantino e  agli usi e alle simbologie di un tempo nel rapporto legato al cibo, alla morte-resurrezione, intesa come continuazione della vita.

Perché noi non bruciamo nessun fantoccio a carnevale?

Al contrario del resto d’Italia, noi a San Demetrio non bruciamo nessun fantoccio di paglia le cui ceneri fanno risvegliare con la primavera nuove ed abbondanti messi. Nella nostra cultura contadina oltre alle messi, con Tafini si risveglia anche un popolo distrutto dalla  miseria che spera continuare a vivere e cambiare in meglio.

Nel mercoledì delle Ceneri in paese, Tafini e Coraizma rappresentano l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole. In sostanza Tafini e Coraizma rappresentano il mondo alla rovescia e il momento del rinnovamento e della rinascita.

Tafini morto porta con se tutti i mali e i peccati del paese e   ritornerà dalle sue ceneri l’anno seguente nel mondo dei vivi,  attraverso la fiamma della candela e dei collivi nella ritualità dei morti, ad affermare che la vita  continua e i morti tornano tra i vivi.

 

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E’ comprensibile come il recupero del soprannome Tafini alias Demetrio Buscia, artigiano, Scarpàr, conosciuto e stimato in tutti gli ambienti sandemetresi, ci pone davanti ad una ennesima riflessione sulla etimologia popolare o alla paretimologia dal momento che, l’etimologia della parola è stata accettata, assimilata, parlata e vissuta da una intera comunità di parlanti arberesh sandemetresi.

 

 

Basti pensare a Tafini,  dal greco antico τάφος , al carnevale, alla sintesi come rito pagano di una particolare operazione funebre di un antico cerimoniale locale con una serie di pratiche condivise da tutto il paese, dove si sono sempre intrecciati costantemente il charivari la maschera del  demonio, il sacro col profano , il cibo, i morti, la  rinascita, la resurrezione, il travestimento. E allora pensiamo a Rotondaro Vincenzo , (Ijati Skaghèllit-Sotit) che si travestiva da donna con gli abiti arbëresh e spesso anche da prete nel funerale di Tafini. Pensiamo poi, che a fargli compagnia vestito da donna arbëreshe c’èra  anche Amiragli fratello di Garrone Vincenzo ,Picipici  entrambi grandi attori locali  burleschi , allora lo spettacolo era garantito. Comprendiamo come nel corso degli anni, si siano cristallizzati frammenti di tradizione e tramandati, nonostante azioni contaminanti; la tradizione orale ha comunque tramandato e abilmente tutte le figure del nostro carnevale.

Essendo una tradizione tutta nostra, l’unica via  percorribile era spigolare tra le nostre usanze e sopratutto tra i contrasti della chiesa latina e quella bizantina dell’epoca fin dalla prima parte del 1600, partendo alla Visitatio Apostolica, cioè ad una visita pastorale nella diocesi di Bisignano che ha scaturito il “ De Albanensibus seu graeco ritu viventibus” che riferisce, proibendo anche alcune consuetudini radicate sul piano dei costumi, sono proibiti i prandia (pranzi) e le commessationes ( banchetti con invitati) che gli Albanesi erano soliti tenere nelle chiese in occasione delle festività principali e in occasione della tumulazione o commemorazione dei defunti.

Nel tentativo di latinizzarci, molti vescovi facevano passare per Chiarivarì quello che gli albanesi fino a tutto il ‘700 facevano nelle chiese tra il capodanno ortodosso e le Ceneri.

Il Chiarivarì francese , oppure  dal greco  Kapἠβapia spesso consisteva in banchetti e cene e balli di persone dentro le chiese, talvolta travestite e con maschere si lasciavano abbandonare   a manifestazioni  rumorose.

Alla pagina 76 della pubblicazione “ Chiesa e società in CalabriaUna visita Apostolica alla Diocesi di Bisignano”del prof. Rosario D’Alessandro, tra l’altro si legge: <<……con tutte le forze ordiniamo e comandiamo a tutti gli Albanesi di questa Diocesi che nel Giorno della Pasqua di Resurrezione del Signore non ardiscano più mascherati e vestiti di molli abiti dare rappresentazione di danze corali, come furono soliti fare fino al presente  con grandissimo scandalo delle popolazioni latine ed irriverenza del corpo del Signore, che presero nella mattina….>>.

La combinazione di questo dato linguistico TAFINI con la viva tradizione orale,  nella ritualità del carnevale risulta, come dato storico, e lo fà diventare il “toponimo” del Carnevale a San Demetrio, contrariamente a ZU’ NICOLA, tipicamente calabrese più autoctono (lëtir) che alloglotta, e così la stessa “ Nunziata”.

Nb : Va dato merito ai componenti dell’Albany Jazz di San Demetrio C. per aver dato vita, tra l’altro, ad una edizione del funerale TAFINIT nei primi anni ’60, insieme al liceo-ginnasio. Ne parleremo su questo sito nel corso della Storia di San Demetrio Corone tra cronaca, storia e politica.

Ringrazio la famiglia De Marco per la disponibilità, la signora Raffelina Buscia figlia di Demetrio Buscia alias TAFINI.

Ringrazio Damiano Guagliardi per la disponibilità di alcune foto d’epoca.

Ringrazio la famiglia Micieli Da Pisa per la loro disponibilità.

Voglio ringraziare Mariarosen e Triesten e Bojes, e tatmad Giuseppe Serra e motra Maria Luzzi, sono stati la mia  banca dati arbëreshe.

 

CARNEVALE 

I DIAVOLI  –  DJELLZIT

( Tratto da: San Demetrio Corone, fra cronaca, storia e politica)

di Angelo Lino Luzzi

 

 

La maschera per eccellenza che è quella del diavolo, permette allaChiesa di manifestare la Verità denunciandolo. Così come la demonologia er auna parte essenziale della teologia, la maschera aveva la sua neccessità nelle rappresentazioni della Chiesa: Le condanne eclessiastiche ripetute per 10 secoli in terminipressochè immutabili, non hanno mai fatto scomparire le maschere. Sotto le apparenze della persecuzione, erano esse altra cosa che un richiamo incantatore delle figure del peccato.

Tutta questo viaggio intorno ali usi nostri di untempo, mi permettono di determinare,non certo con la chiave dell’assoluto, determinare il posto del diavolo nelle appresentazioni del tempo,o meglio del periodo in esame, ancor meglio dei documenti scritti.

Pertanto a qualcuno è passato in mente di mascherarsi da diavolo per rivivere le contradizioni della Chiesa che ha insieme condannato e in parte adottato il travestimento.

Successivamente il Cattolicesimo si adoperò per reprimere i culti paganichiamati charivari, o dal greco  Kapἠβapia, e pensò bene di raffigurare il diavolo con tratti bestiali, dotandolo di ali, coda e corna. Fu probabilmente in quel momento che la Chiesa stessa pose indirettamente le basi per la nascita e lo sviluppo del cosiddetto ‘satanismo’, con tutta la relativa iconografia, fenomeno a cui gran parte della odierna cultura di massa abbina il simbolo delle corna.

Andava lentamente configurandosi l’iconografia specifica del demonio che insisteva sui caratteri animaleschi e mostruosi da far paura.

Se Dio è colui che è, il Diavolo colui che cambia, nulla di più vero è facilmente dimostrabile quando si analizza l’immagine del male attraverso i secoli. Nessuna rappresentazione può esprimere compiutamente la natura complessa del demonio.

Per avvicinarmi il più possibile, a quel filo storico che ci legava col recente-passato, mi sono affidato alla pubblicazione di Rosario D’Alessandro sulla decretazione sinodale De Albanensibus circa  i nostri costumi, il nostro rito, la nostra cultura.

Un ruolo fondamentale nella codificazione del bestiario del Male è attribuito al Physiologus trattato dalle omelie si San Basilio di Cesarea, scritti da Eucherio di Lione, e da Isidoro di Siviglia, il quale intervenuto dopo Sant’Agostino ispirandosi a Platone ( nella città di Dio), fa riferimento al significato primitivo larvae demonum e dice:<<

Dei demoni fatti a partire da uomini di cattivo merito e la cui natura è far paura ai bambini negli angoli >> ( Isidoro di Siviglia,Etymologie, VIII cap. ult :” Larvas ex hominibus factos daemones aiunt qui meriti mali fuerint, quarum natura esse dicitur terrere parvulos in angulis tenebroris”. 

Come al nostro caso,   FAR PAURA, SPAVENTARE

Ma era sempre e solo uno il Male, uno solo il diavolo come appunto nella ritualità si San Demetrio Corone, abilmente veniva rappresentato da Vincenzo Micieli, le cui doti artistiche si facevano già valere anche in altri campi. Riusciva benissimo a spaventare e a incutere paura. Puntuale intorno alle 13°° del Matedì grasso scendeva dalla collina di Nicola Orazio  coperto di pelli  e corna di capra, con il viso unto di rosso e tanti campanacci distribuiti sopra le pelli. Giunto al ponte di Ordichetto o di Ngliso, iniziava ad agitarsi e il frastuono dei campanacci  echeggiavano nella vallata del Fiume Marini. Il frastuono delle Kumbore giungeva sia a Mormorico che a Fund-Katundit. Entrato nella via dei Fedeli recuperava l’accesso a via Termopili e  difronte la sua casa ( afer Cozmadit)sfoderava un “ vaso da notte con pastasciutta all’interno”( gn rinar, pisciatur, me tumàz mbrënda e vëghej e gaj), e iniziava a mangiare.

Micili, djallthi, riusciva a fare uscire tutti fuori casa anche i bambini impauriti, nonostante attaccati alle vesti delle madri, anche loro volevano vedere, sentire, capire. Per coloro che non avevano fatto in tempo ad uscire e chiudere casa, la sorpresa era di trovare il diavolo  dentro.

Vincenzo Micieli era IL DIAVOLO nel carnevale arberesh, seguito sempre da uno stuolo di persone che continuavano a divertirsi con lui a spaventare tutti quelli che incontravano e poi a tarda notte tutta la stanchezza veniva ricompensata, soprattutto dalla popolazione che coinvolta per così dire, nel trasgredire insieme si sentiva più unita, più sincera nel condividere, come ho fatto io avendolo vissuto in prima persona.

Vincenzo Micieli lascia San Demetrio Corone  nel 1961 per recarsi con tutta la famiglia a Pisa, lasciando il testimonial non a uno ma a DUE DIAVOLI per continuare la tradizione, puntualmente rispettata.

E’ stato lui la maschera del Diavolo a riconsegnarla alla tradizione che giustamente continua e non si ferma, nonostante sia aumentata la famiglia dei diavoletti decisi a continuare nella loro solitudine ma in buona compagnia di self clicca e fuggi.

Il pensiero corre al prossimo carnevale con l’attesa  di sorridere insieme, come si faceva un tempo, senza meschinità e cattiveria dato l’ abbondanza di oggi, e con la speranza di sognare, come un tempo, nonostante il piano Marshall.

 

 

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FAA – Convegno Stato Normativo Delle Minoranze Linguistiche Della Calabria – 12 gennaio 2019

FAA – Convegno Stato Normativo Delle Minoranze Linguistiche Della Calabria – 12 gennaio 2019

 

 

E’ LA VOLTA BUONA

( Il convegno  indirizza  l’inversione di passo, bandisce il banchetto delle parole, e segna la svolta )

di Angelo Lino Luzzi ©

Il convegno organizzato dalla FAA ( Federazione Associazioni Arbëreshe) con sede a Spezzano Albanese, con il patrocinio della Regione Calabria, della Provincia di Cosenza e Comune di Spezzano Albanese, sulla riflessione Stato Normativo Delle Minoranze Linguistiche Della Calabria , ha sorpreso tutti per il grande impatto culturale e la capacità, nella bontà degli interventi di disegnare tematiche incisive.

Ha prevalso la valutazione e la concretezza negli interventi, illustrati in modo sintetico  ed esaustivo da tutti i relatori. L’urgenza e la minaccia dello spopolamento in atto nei paesi arberesh è la conseguente perdita della lingua e di tutto l’immenso patrimonio materiale e immateriale, per altro ricchezza non solo degli Arbëresh,  hanno dato consapevolezza e responsabilità  facendole diventare elementi unificanti all inversione di passo per un successo del cambiamento strategico per la nostra Minoranza Arberëshe

Le rappresentanze delle diverse istituzioni, dell’Eparchia di Lungro, della RAI, del Museo di Sibari, Fondazione Arbëresh e non ultima della Regione Calabria, hanno tracciato i diversi segmenti, i più immediati e percorribili, attraverso competenze, confronto e discussione per favorire gli interessi del Popolo Arbëreshe , della Calabria, della Nazione.

Questo convegno diverso, ha sorpreso  il nutrito uditorio, per altro rappresentato da moltissimi sindaci ed ex rappresentanza di Camera e Senato. Un uditorio attento e pronto all’ applauso alla varietà di voci che hanno fatto emergere con chiarezza per chicchesia, ruoli, funzioni, privilegi e i doverosi limiti da attenzionare nel rispetto dell’appartenenza rappresentata da tutto il Popolo  Arbëresh. La Proposta della  FAA non  è altro che disponibilità plurale a spendere la sua immagine per un confronto dialettico deciso, anche forte, ma produttivo e nell’interesse del mondo Arberesh.

E’ la volta buona sotterrare quel lungo tempo attraversato da lotte e contrasti inutili, a volte faziosi, che non hanno favorito la nostra crescita e la determinazione di Minoranza, ma la distruzione e la dissolvenza di tutto: << La guerra non serve a nessuno, perché annulla tutti, anche chi vince….>>. Il Dialogo è lo strumento per avviare, anche con posizioni diverse, una discussione serena che porti alla distensione e al rispetto soprattutto verso chi come i Giovani Arbëresh aspettano lavoro ed occupazione.

Una ulteriore riflessione per altro, da me manifestata in assemblea alla FAA, essendo presidente di SHPIRTI VENDIT-GENIUS LOCI associata alla federazione e cioè  oggi, vi è un problema di “produzione” della nostra cultura, del nostro patrimonio, che è cosa diversa dalla produzione di fruizione culturale. Bisogna proporre, agire, avere proposte ed organizzarle interagendo nei famosi cerchi economici.

Contributi video del convegno, (senza i caratteri della postproduzione). 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PRESEPE, FRA TRADIZIONE,APPARTENENZA E ISTITUTI SCOLASTICI

 

 

 

 

I L   P R E S E P E

 Tra Tradizione , Appartenenza ed Istituti scolastici.

(In alcune scuole, incultura e gran confusione)

di Angelo Lino Luzzi

E meno male che la tradizione del presepe resiste vicino all’albero di Natale  , non solo come inutile decorazione, ma di atteso Evento, di intimo e di Verità. In qualsiasi tradizione famigliare di pratica e fede cristiana , non si ha difficoltà a rispondere alla domanda sulla Verità in Cristo. Nel Vangelo,  Cristo annuncia una grande verità quando dice:<< Io sono la via, la verità e a la vita…..>>. Allora, prima di andare avanti, bisogna decidere quando si parla e si agisce, se si crede in Cristo oppure no, quindi in Dio e in che modo.

Mi torna in mente il seminario sul “Natale nel rito Bizantino” di papàs Vincenzo Matrangolo da Acquaformosa e quando ebbe a dire :<< ….non si può essere ne carne e ne pesce>>.

Legato come sono  alle  tradizioni, alle radici e agli ideali e culture varie e volendo capire le ragioni dell’altro, non ho difficoltà di critica ed apertura al superamento delle difficoltà di presidi ed insegnanti confusi è agnostici che potrebbero  condurre all’anarchia, violenza, aggressività e confusione. Si può rispettare la laicità della scuola nei limiti concessi dalla nostra Costituzione.

 Sul presepe in alcune scuole, una gran confusione

Sarà difficile ottenere chiarimenti da parte di queste scuole, da questi insegnanti e presidi che per eliminare il presepe, si giustificano, “per non offendere gli alunni di cultura religiosa diversa”. Si comprende in queste scuole come sia venuto meno il reale contenuto culturale del chiarire.  Il loro ritardato appello sul principio della laicità della scuola  sarebbe stato più motivato se considerato all’interno nel reciproco rispetto degli articoli della nostra Costituzione che riconosce ogni diversità, purchè,  non  in contrasto con i princìpi sanciti dalla  stessa.

Prima di aprire bocca, farebbe bene questo tipo di personale insegnante ad essere più responsabile. A tutte quelle culture diverse sarebbe doveroso un invito e cioè, prima di ogni reclamo, i loro Stati andassero a concludere prima i concordati bilaterali con l’Italia e soprattutto riflettere sull’atteggiamento a casa loro che hanno  verso quelli che come me per quasi 5 anni hanno vissuto con rispetto ogni loro restrizione ad iniziare dall’anuncio in aereo, prima di atterrare, con l’invito ai passeggeri sulle condizioni di comportamento imposte dallo Stato ospitante.

Questi ( educatori )  che vogliono abolire a scuola il presepe e altri simboli, non si rendono conto del messaggio che danno sia agli immigrati non cristiani che ai piccoli cristianì,

cioè l’impressione che siamo un popolo senza tradizioni e magari, se le abbiamo contano poco, tanto da metterle da parte nel rispetto delle altrui tradizioni.

Se così fosse, sarebbe un pensiero infelice indirizzato a futuri scontri tra civiltà, nonostante la già  preoccupante considerazione sulla preparazione del personale insegnante in quelle scuole.

Mi chiedo, siamo sicuri delle radici su cui si fonda la nostra Costituzione?

siamo sicuri delle ragioni che hanno alimentato il nostro passato?

vogliamo rassegnarci alla scomparsa del presepe, come dire del nostro paese e del nostro antico mondo culturale?

Siamo sicuri dell’appartenenza e  di vivere il Natale?

Siamo sicuri  di quelli che si considerano credenti siano credibili se confondono ogni cosa  con il Natale solo dei panettoni, solo il Natale delle pubblicità, solo dei soldi, solo delle stravaganze alle luminarie e alle scimmiottature televisive?

Tralascio, per adesso, addentrarmi alle cause e in molti altri aspetti anche religiosi che inficiano la eventuale crisi della Chiesa, se c’è, e che non nasce oggi. Certamente parte tutto dal modernismo sfrenato che ha messo in crisi Scuola, Chiesa e Famiglia per come la strage in discoteca a Corinaldo indigna tutti.

Il portar rispetto a tutti coloro che non vogliono il presepe, vuol dire anche un  elogio allo loro palesata ignoranza intesa di quel insegnante, di quel dirigente scolastico che ignora e non chiarisce e non riflette sulla trascendenza e immanenza, ma parla, decide di fare come vuole e arbitrariamente all’interno del proprio istituto scolastico.

Da povero osservatore rallento la mia critica senza scomodare neppure Kant su quella  della ragione pura”,  invito quegli insegnanti almeno ad aggiornarsi sulle riflessioni fatte dal Ministro della pubblica Istruzione Bussetti  alle risposte al question time alla Camera sul tema presepe a scuola : “I simboli della tradizione cattolica, come il presepe e i canti natalizi, fanno parte della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra identità. La scuola rappresenti il luogo in cui sono valorizzate le più alte espressioni dei valori fondanti della nostra cultura, come la celebrazione del Santo Natale”.

Sò che è anche duro l’aggiornamento nelle scuole per gli insegnanti , possibile solo se lo stato li paga, tutti gli altri lo fanno con i propri soldi.

In attesa di dipanare la gran confusione a scuola sui presepi, alla mia critica segue una proposta per tutti quegli insegnanti agnostici:

di organizzare il presepe nelle scuole con elementi anche rappresentanti ogni forma di cultura religiosa diversa, almeno di quelle presenti nell’istituto, e senza offendere nessuno, il presepe assumerebbe un aspetto inclusivo e di apertura alla riflessione, all’integrazione e alla convivenza con culture diverse.

La mia pluriennale esperienza per lavoro in Medio Oriente, a Taif-Al Hada , vicino alla Mecca, nel cuore religioso in Arabia Saudita, e poi anche in Africa, mi consentono di suggerire con la semplicità di anima ingenua  che i Musulmani condividono il nostro Dio con il loro Allah, riconoscono Gesù Cristo (come Profeta per una parte del Nuovo Testamento ), ma non come il Messia e che riconoscono Miriam, Maria come sua madre.

Nel Corano, in questo versetto vengono menzionati tre meriti per Maryam (as). Ella era una delle devote (Qanitah), attestò la veridicità delle parole del Signore (Siddiqah) ed infine ricevette lo spirito di Allah (SwT).

In un altro versetto, nel terzo capitolo, le si conferisce un altro importante merito:

“E quando gli angeli dissero:- In verità, o Maryam, Allah ti ha eletta, ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo-” (Sacro Corano, Sura ali-°Imran, 3:42), direi

Abbastanza elementi condivisibili per un dibattito di riflessione inter-culturale nelle scuole, lontano dall’esclusione del presepe e dei canti o crocefissi vari.

Sperando la proposta del presepe inclusivo in classe sia cosa utile, in occasione del Santo Natale, per la gioia di tanti, uno spaccato locale di antropologia visiva con il PRESEPE VIVENTE 2006 a San Demetrio Corone, organizzato dal locale istituto scolastico (primaria e second.) : preside-direttore  prof. Demetrio Ieno, con la partecipazione fattiva del corpo insegnante e dei genitori degli alunni ed altri enti. Il documentario diviso in due parti, è sempre rintracciabile nel sito:

collegiosantadrianosite.wordpress.com                    canale You tube LinoLuzziVideo

L’Associazione Culturale  Shpirti Vendit-Genius Loci augura a tutti Buone Feste.

PRIMA PARTE FILMATO

 

SECONDA  E ULTIMA PARTE FILMATO

LA SANDEMETRESE IN PROMOZIONE – 1993

LA SANDEMETRESE IN PROMOZIONE – 1993

Attività di svago e tempo libero a San Demetrio Corone

( Il Calcio )

La Sandemetrese in Promozione 1993

( Video – Interviste – Commenti )

 

di Angelo Lino Luzzi

Lo svago e il tempo libero non ha mai conosciuto crisi nei i nostri paesi arbëresh. San Demetrio, poi, battezzata come era, capitale della Diaspora in Italia, non poteva venir meno alle riconosciute capacità di creare iniziative. Subito dopo i conflitti mondiali, era diffusa in generale l’arte creativa alla “sopravvivenza” , e come la nostra storia avrà modo di raccontare, molto ricca risulterà la lista a San Demetrio Corone di iniziative dai riconosciuti meriti come quelle artigianali, agricole, quelle artistico-musicali ed etniche e quelle sportive. Molti giovani, impegnandosi in discipline diverse, hanno dato lustro al paese e continuano a tenere alto il livello partecipativo. Si è registrato qualche risultato anche nazionale e le Maratone internazionali registrano partecipazioni da San Demetrio C. a testimonianza del corretto e utile uso del loro tempo libero e della valenza sportiva come maestra di vita.
Tratti sempre da: “San Demetrio Corone tra politica, cronaca e storia”, estrapoliamo dal capitolo “ Attività di svago, Sport e Tempo libero”

il Calcio

Il racconto della sua vitalità non ha pretese di essere esaustivo, cercherà di essere, comunque, un racconto di una storia autentica di quasi tre quarti di secolo della Sandemetrese, e anche una spiegazione di come, quando e perché è nata, come è avvenuto, chi furono gli ispiratori, chi è stato il primo Presidente e gli sviluppi negli anni, anche per sfatare le abbondanti leggende metropolitane.
Evidenziare questo settore, sarà una conferma dello spirito di iniziativa sociale che ha animato San Demetrio Corone ed un significativo riconoscimento al contributo di tutti ad elevare di prestigio il calcio sandemetrese, riconosciuto in tutti gli ambienti calcistici anche inter – regionali grazie a episodiche occasioni come, la partecipazione alla Coppa Italia Dilettanti, la partecipazione di figure come del compianto Renato Serra nelle “ rappresentative calabresi” e all’esperienza presso il Centro Sportivo di Villa Gaia a Roma nel torneo internazionale a squadre del calcio giovanile europeo con la Polisportiva Sandemetrese del presidente Antonio Sposato e lo sponsor DS Mobili.

Ad oggi, le nuove società sportive, i nuovi dirigenti, le giovani generazioni succedute, stanno onorando con la loro generosa partecipazione il prestigio dei colori calcistici locali e tengono alto lo spirito partecipativo cittadino.
Nel corso di questo racconto troverete forse qualche errore o qualche omissione, e tutto ciò è inevitabile in un racconto che sintetizza quasi un secolo di storia calcistica, si spera comunque che la pubblicazione, stimolata da molti, incontri soprattutto il vostro favore e vi faccia buona compagnia; con l’occasione desidero formulare a tutti i più vivi ringraziamenti, perché siete in tanti a visitare questo sito e a confermare la bontà degli argomenti convincenti nei vari editoriali tematici.
Al ringraziamento segue per tutti un invito, cioè rendervi partecipi alle pubblicazioni.
Ognuno di voi, visitando il sito, leggendo qualsiasi testo, può intervenire nelle parti che interessano, con note, suggerimenti, aneddoti, aggiungere foto, si provvederà subito ad inserire il materiale con nome dell’autore, a riconoscimento.
Un po’ tutti ci siamo passati nel pianeta calcio, da tifoso, da calciatore, da arbitro, da dirigente e anche da operatore dell’informazione , nel mio caso; ho sempre concesso a tutti la vetrina che si meritavano attraverso i miei servizi, opinioni e critiche radio televisive. La storia del calcio è in fondo anche la nostra storia di eterni innamorati del gioco più bello del mondo.
Mentre vado a limare gli ultimi ritocchi della nostra storia calcistica, ricordo che ogni puntata sarà preceduta nel paragrafo Calcio, dalla scritta Sandemè chà chà chà, nelle suddivisioni interne dei vari paragrafi in cui è distribuita la materia “Tradizioni, attività e tempo libero” , in HOME alla templata : San Demetrio Corone.
In attesa di iniziare la storia del calcio a San Demetrio Corone,
in visione tre gruppi di filmati del campionato 1992 /1993 – Primo e secondo tempo Verzino-Sandemetrese (3-5) con la vittoria in anticipo di campionato.
Due  filmati – Sandemetrese- Acri (3-1) e la Premiazione del passaggio in Promozione e buona visione.

 

VIDEO   VERZINO – SANDEMETRESE     1 Tempo>Prima parte

 

 

VIDEO   VERZINO – SANDEMETRESE     1 Tempo > Seconda Parte

 

 

VIDEO   VERZINO – SANDEMETRESE   1 Tempo> Ultima Parte

 

 

 

VIDEO   VERZINO – SANDEMETRESE   2 Tempo > Prima  Parte

 

VIDEO  VERZINO – SANDEMETRESE  2 Tempo > Ultima Parte

 

seguono altri due video : SANDEMETRESE – ACRI  (3-1)  Ultima giornata  92/93 

Primo Video

AL ” CIVETTERIA” LA SANDEMETRESE FESTEGGIA LA PROMOZIONE 1993 Prima Parte e 
cliccare sull’indirizzo
Secondo Video
AL “CIVETTERIA” LA SANDEMETRESE FESTEGGIA LA PROMOZIONE  Ultima Parte 
cliccare sull’indirizzo
nb:   grazie a tutti per le attestazioni di stima….
A seguire, dagli “anni 30” ad oggi,   LA STORIA DELLA SANDEMETRESE
L’attività dell’Istituto Internazionale del Collegio Sant’Adriano per l’Albania

L’attività dell’Istituto Internazionale del Collegio Sant’Adriano per l’Albania

I L     C O L L E G I O    D I    S A N T ‘ A D R I A N O

 

di Angelo Lino Luzzi

 

Premessa

 Per delineare il successo profondo e duraturo del Collegio di Sant’Adriano, il lento processo di laicizzazione, e tutte le attività e il ruolo e la funzione espletati negli anni, il degrado e l’inutilizzazione nella gran parte, dopo l’esaurimento delle sue funzioni, bisogna seguire il dipanarsi delle vicende storiche e il contributo dei fattori concomitanti. Noi lo faremo con continue pubblicazioni su questo sito con fonti documentarie e attraverso opinioni e critica, libera e disinteressata.

Le Origini

 

Il Collegio in origine fu denominato Collegio Corsini perché fondato dal Papa Clemente XII° in S. Benedetto Ullano (CS) nel 1732, fu trasferito poi nell’antica abbazia basiliana di Sant’Adriano in S. Demetrio Corone nel 1794 noto come Collegio Italo-Greco di Sant’Adriano. Il trasferimento era stato deciso perché il monastero dei monaci basiliani di sant’Adriano possedeva più ricche entrate e avrebbe potuto ospitare un numero maggiore di studenti, sia quelli indirizzati a missione sacerdotale, sia quelli alle varie professioni. Infatti fin dall’inizio accanto ai seminaristi venivano ospitati convittori con lo scopo di seguire gli studi da laici. La storia del collegio di Sant’Adriano in questo sito sarà continuamente arricchita da documenti, foto, video.

 

Si coglie  l’occasione della visita del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e del Presidente della Repubblica d’Albania Ilir Meta  a San Demetrio Corone per aprire la storia del Collegio Sant’Adriano in questo sito, cogliendo la motivazione del luogo commemorativo,  Il Collegio di Sant’Adriano. Questo istituto Italo-albanese importantissimo  in tutto il Mezzogiorno, ha svolto un ruolo di primo piano  per l’Unità D’Italia e per la sua Costituzione. Attraverso la creazione al prorio interno dell’ ISTITUTO INTERNAZIONALE ALBANESE, ha sedimentato e attivato  le prime idee per L’Indipendenza d’Albania, diventando una sorta di ” Scuola Normale”, vivaio per l’educazione e la istruzione degli insegnanti per l’Albania.

 

 

 

Ringrazio pertanto il  chiar.mo  prof. Italo Costante Fortino, con ossequio e profonda gratitudine nella licenza di un suo pregevole elaborato

“ L’attività dell’Istituto Internazionale di S.Demetrio Corone per l’Albania”

 di Italo Costante Fortino

 Università degli Studi di Napoli L’Orientale

Tratto da

L’ALBANIA INDIPENDENTE E LE RELAZIONI ITALO-ALBANESI (1912-2012)

 Atti del Convegno in occasione del centenario dell’indipendenza albanese

(Sapienza, 22 novembre 2012)

L’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri (ASDMAE) italiano conserva una ricca documentazione sul Collegio Italo-Albanese di S. Demetrio Corone che nel 1903 divenne Istituto Internazionale con apertura all’Albania.

 

La creazione dell’Istituto Internazionale ha rappresentato l’ultima fase della vita di questo prestigioso Collegio. La documentazione più significativa è contenuta nei faldoni 472, 543, 545, 546, 547, 548 e vede svilupparsi tutta l’attività pro-Albania nella formazione dei giovani studenti albanesi e di alcuni militari che svolgevano la loro attività nell’esercito italiano dislocato in Albania.

Per rispondere alle nuove esigenze il vecchio Collegio ItaloAlbanese aveva allargato gli ordini di studi ai corsi magistrali per insegnanti elementari, e ai corsi di agraria, oltre naturalmente al ginnasio-liceo, suo carattere precipuo.

Collegio Italo-Albanese di Sant’Adriano

 

I documenti in oggetto offrono anche l’opportunità di seguire l’accentuarsi dell’attività dell’Istituto Internazionale di S. Demetrio Corone soprattutto dopo la proclamazione, a Valona, dell’indipendenza dell’Albania, nella fase di ricostruzione del tessuto nazionale albanese, dopo cinque secoli di dominio turco, e all’insegna delle aspirazioni dell’Italia nei Balcani e particolarmente in Albania.

Ismail Kemal

   Valona – 28 novembre 1912 – Kemal proclama l’Indipendenza dell’Albania

 

Le proposte di Anselmo Lorecchio già del 1898 riguardavano la trasformazione del Collegio in Istituto Internazionale e disegnavano da un lato la funzione che un’istituzione, posta nel cuore del mondo culturale arbëreshë, potesse avere a favore dell’Albania, dall’altro il ruolo dell’Italia nell’altra sponda adriatica nel momento del tracollo dell’Impero ottomano.

Anselmo Lorecchio

Un giornalista arbëresh al servizio dell’indipendenza dell’Albania

Nacque a Pallagorio, il 3 novembre 1843. Conseguì la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli il 21 dicembre 1868. Dal 1878 già procuratore presso la Corte d’Appello di Napoli fra gli incarichi,Delegato scolastico.

Anche se altre istituzioni educative italiane erano pronte a rispondere alle stesse richieste – si pensi all’Istituto Internazionale e Coloniale di Torino o alla Scuola superiore di Bari – tuttavia S. Demetrio accolse il numero più elevato di studenti albanesi proprio per essere il luogo più adatto per la sua tradizione albanese e dunque affine per appartenenza e cultura coi nuovi ospiti.

Dapprima furono ospitati giovani provenienti da Scutari, ma successivamente studenti provenienti prevalentemente da Valona e da Argirocastro, le due zone dove maggiore era la presenza militare italiana.

       

La documentazione, infine, ci offre un quadro della situazione dell’istruzione nelle zone di Valona e di Argirocastro, da cui emerge, al di là di ogni problematica di carattere politico, l’urgenza che le due zone avvertivano dell’istituzione di scuole elementari, oltre che nei grandi centri, soprattutto nei paesi e nelle zone rurali.

Da un appello, che gli studenti albanesi dell’Istituto Internazionale di S. Demetrio rivolsero all’onorevole Sidney Sonnino, ministro degli Affari Esteri italiano, risulta che nel 1918 questi avevano raggiunto la quota di cento e si dichiaravano soddisfatti dell’esperienza formativa perchè il Collegio medesimo, posto com’è in mezzo alle numerose colonie albanesi della Calabria cosentina, costituisce la natural sede destinata da una tradizione secolare e inalterabile a educare e istruire gli Albanesi dell’una e dell’altra sponda di quel mare in cui sì vivamente gl’interessi dell’Italia e dell’Albania si connettono.

 

             

Collegio Italo Albanese S. Adriano                                      S. Demetrio Corone

 

L’opportunità dell’argomento di questo mio intervento mi è  offerta dalla documentazione che ho ritrovato nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri italiano, relativa al Collegio Italo-Albanese di S. Demetrio Corone, in provincia di Cosenza.

Si tratta di diversi faldoni che contengono relazioni che, almeno quelle che ho consultato io, ricoprono gli anni di fine secolo Ottocento e inizio Novecento, quando il Collegio registrava una radicale riforma istituzionale.

I sei faldoni, numerati con 472, 543, 545, 546, 547, 548 si riferiscono alla fase di commissariamento del Collegio, prima nelle mani del prof. Angelo Scalabrini.

Angelo Scalabrini

Ispettore Generale delle Scuole Italiane all’Estero, dal 1900 al 1914, e successivamente del prof. Giuseppe Pucciano, dal 1917 in poi. In questo arco di tempo, che possiamo definire come l’ultima fase della prestigiosa istituzione, il Collegio cambia denominazione: da Collegio italo-greco – “greco” per via del rito greco-bizantino che vi si praticava, come nelle circostanti comunità albanesi – in Collegio ItaloAlbanese, sia per accentuare l’aspetto etnico degli arbëreshë (o italoalbanesi della diaspora del XV-XVI secolo), sia per sottolineare i legami che si andavano stringendo con l’ Albania, nella fase nuova della sua storia, alle soglie della sua indipendenza dall’Impero ottomano.

 

Nel 1902 è il rettore G. Occoferri che scrivendo al commissario Scalabrini gli propone la nuova denominazione:

Passando ora ad altro discorso io Le vorrei proporre, Illustre Signor Commissario, una modificazione al titolo del Collegio. Non sarebbe meglio chiamarlo italo-albanese, anziché italo-greco?

Prima di tutto convien osservare che noi accogliamo qui, senza distinzione alcuna, gli albanesi d’ogni religione e d’ogni rito e che perciò l’accenno al rito greco è affatto inopportuno; poi bisogna pure notare che quel titolo di italo-greco può dare agl’ignari un concetto errato della vera natura dell’istituto.

Gli Albanesi, del resto, non son troppo teneri amici dei Greci e poco han di comune con loro, tranne la lingua usata nella liturgia sacra; perché dunque, perpetuare col nome del Collegio un equivoco?

(Archivio Storico Diplomatico Ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi ASDMAE), Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546. —-)

Qualche anno prima era emersa la figura di un avvocato arbëreshë, Anselmo Lorecchio di Pallagorio, in provincia di Catanzaro, distintasi già nei due congressi voluti dallo scrittore Girolamo De Rada, il primo a Corigliano Calabro nel 1895 e il secondo a Lungro nel 1897, e poi come presidente della Società Nazionale Albanese. Il Lorecchio ebbe una intensa attività culturale e politica il cui pensiero si può ricostruire tramite due suoi volumi: La questione albanese (Catanzaro 1898) e Il pensiero politico albanese in rapporto agli interessi italiani (Roma 1904), oltre che attraverso le pagine della sua rivista La Nazione Albanese, che ha avuto una lunga vita, dal 1897 al 1924, anno della sua scomparsa. Egli da arbëreshë vede di buon occhio la politica italiana nei confronti dell’Albania: l’Italia era la nazione più adatta a svolgere un ruolo di protettorato, perché non estranea all’Albania, in forza dell’accoglienza offerta a tanti arbëreshë che, da cinque secoli, continuano a vivere pacificamente nel suo seno.

Istituto Garopoli e G. De Rada – Foto+m. e relazione di Giulio Judicissa

Primo Congresso degli Albanesi in Italia… correva l’anno 1895 – fu un fatto rilevante, del quale variamente si occupò anche la stampa europea dell’epoca. Il dato linguistico, che, per essere il tema ufficiale dell’incontro, impegnò i congressisti in dotte riflessioni grammaticali e lessicali, alla fine, rivelò quello che era il vero motivo umano dell’appuntamento: ritrovare le memorie patrie e con esse muovere i primi passi sulla strada dell’affratellamento dei circa 200mila italo-albanesi della penisola.
Fu questa, certamente, la ragione prima, che tenne insieme, presso i locali del Ginnasio Garopoli di Corigliano Calabro (CS), offerti dall’Amministrazione comunale, dall’1 al 3 ottobre dell’anno 1895, i 25 congressisti ed, idealmente, le oltre 500 persone, gente comune ed anche illustre, che, da diverse località della Calabria, della Campania, della Puglia e della Sicilia, avevano dato la loro adesione alla originale iniziativa

Questo disegno politico va visto anche alla luce degli interessi della Russia che si muoveva dietro la Serbia e il Montenegro, i quali avanzavano pretese sul nord dell’Albania; come pure alla luce delle mire dei greci che volevano arrivare a occupare i territori fino a Valona, perché ritenuti greci; e degli austriaci che penetravano nel nord dell’Albania attraverso il canale culturale, ma anche più concretamente attraverso quello militare, dopo la loro presenza in BosniaErzegovina.

 

Argirocastro, 3 GIUGNO 1917 – Solenne proclamazione italiana dell’Indipendenza Albanese

 

L’Adriatico appariva, pertanto, mare comune italo-albanese e l’Italia di fronte al crollo dell’Impero ottomano, alla luce del pensiero di Lorecchio, aveva un ruolo da giocare in Albania: Siffatta speciale condizione di cose è di evidente vantaggio agli interessi italiani; mantiene vive nella parte più efficace e più pratica le relazioni tra le due sponde dell’Adriatico (non sapendo e non potendo noi far concorrenza alla grande attività commerciale straniera e dà opportunità al R. Governo di formare in S. Adriano un vivaio per la educazione e la istruzione degli insegnanti da destinarsi a le scuole italiane in Oriente e principalmente nell’Albania stessa.

( Da segnalare F. Caccamo, L’Adriatico degli Arbëreshë: il “mare nostro” albanese e italiano, in S. Trinchese, F. Caccamo (a cura di), Adriatico contemporaneo. Rotte e percezioni del mare comune tra Ottocento e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 123-164.)

 

Nel faldone 546 si conservano quattro pro-memoria di Anselmo Lorecchio: due indirizzati al ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, datati rispettivamente 31 agosto 1898 e 20 ottobre 1898; e due indirizzate al ministro per gli Affari Esteri, datati 4 agosto 1902 e 5 agosto 1902.

Il Lorecchio esprime la sua posizioni nei confronti della riforma istituzionale del Collegio Italo-Albanese con accenni alla politica italiana nel quadro dei nuovi avvenimenti a livello internazionale.

Il Collegio, prima denominato Collegio Corsini perché fondato dal Papa Clemente XII in S. Benedetto Ullano (CS) nel 1732, era stato trasferito nell’antica abbazia basiliana di S. Adriano in S. Demetrio Corone nel 1794, da allora meglio noto come Collegio italo-greco di S. Adriano. Il trasferimento era stato deciso perché il monastero dei Monaci Basiliani di S. Adriano possedeva più ricche entrate e avrebbe potuto ospitare un numero maggiore di studenti, sia quelli indirizzati alla missione sacerdotale, sia quelli alle varie professioni. Infatti fin dall’inizio accanto ai seminaristi, venivano ospitati convittori con lo scopo di seguire gli studi da laici. In tutto l’Ottocento il collegio ha registrato un progressivo processo di laicizzazione, fino ad arrivare a fine secolo alla diminuzione della funzione seminariale con apertura a nuove funzioni e prospettive.

Anselmo Lorecchio, già nel 1898, aveva chiara la configurazione della nuova destinazione del Collegio e accenna alla sua trasformazione in Istituto Internazionale: Io credo di non esagerare, se si arrivasse, per avventura, a costituire in S. Adriano un Istituto, dirò così, Internazionale, cioè da valere anche per gli Albanesi di oltre mare (31 agosto 1898).

– (ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546, Pro-memoria a Sua Eccellenza il Comm. Finocchiaro Aprile, Ministro Guardasigilli, Roma, 20 ottobre 1898. Il documento nella sua interezza è stato pubblicato in M.F. Cucci, Il Pontificio Collegio Corsini degli Albanesi di Calabria. Evoluzione storica e processo di laicizzazione, Cosenza, Brenner Editore, 2008, pp. 405-406. 167 M.F. Cucci, op. c )

A Roma, intanto, l’apertura del Collegio a studenti d’Albania era stata avanzata concretamente, con la concessione di dodici borse di studio, dal Ministero degli Affari Esteri. Il Lorecchio, in sintonia con queste iniziative ministeriali, non esita a sottolineare il ruolo che potrà svolgere il nascente Istituto Internazionale nelle relazioni dell’Italia con i Balcani, e nella formazione dei giovani albanesi, carenti di ogni istruzione durante la dominazione turca, dominazione ancora in atto, ma in fase calante. Esprime al ministro guardasigilli l’opportunità di scegliere il Collegio di S. Adriano come luogo più adatto alla formazione dei giovani albanesi, sia per la vicinanza dell’Italia all’Albania sia perché il Collegio sorge nel centro delle comunità arbëreshë dove gli studenti d’Albania trovavano usi, costumi e lingua comuni:

Siffatto concetto è fondato sul fatto che mancando assolutamente nell’Albania Turca Istituti d’istruzione, i giovani di quella regione, massime quelli appartenenti alle popolazioni cristiane, mirano esclusivamente all’Italia; sia per la vicinanza, sia per le comuni antiche tradizioni, e principalmente perché in Italia, come si sa, vivono numerose Colonie Albanesi da più di quattro secoli. Il Collegio di S. Adriano offre loro tutte le garanzie, situato nel centro delle Colonie suddette, i giovani provenienti dall’Albania trovano in esso la continuazione dei loro usi, dei loro costumi e della loro lingua parlata. Difatti, nel passato anno fu ammesso nel Collegio un solo giovinetto di Scutari di Albania e nell’anno corrente con lui sono stati ammessi altri due.

         

Collegio S. Adriano                                            Donne Arbèreshe

 

( Resta così chiara l’idea da me espressa nel presente pro-memoria: il Collegio di S. Adriano deve essere gradatamente trasformato in ISTITUTO INTERNAZIONALE ALBANESE; da servire cioè ai giovani delle Colonie ed a quelli dell’Albania. Convinto della utilità di questa idea, il Ministro degli Affari Esteri era venuto nella determinazione di assumere per parte del R. Governo l’onere di 12 borse da concedere ad altrettanti giovani Albanesi nel Collegio medesimo).

(ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546, Pro-memoria a Sua Eccellenza il Comm. Finocchiaro Aprile, Ministro Guardasigilli, Roma, 20 ottobre 1898)

Altro argomento a favore della trasformazione del Collegio di S. Adriano in Istituto Internazionale Italo-Albanese il Lorecchio l’individua nella funzione avuta dagli arbëreshë nel processo di risveglio della cultura e dell’idea politica della rinascita dell’Albania già nei primi decenni dell’Ottocento, con l’attività del poeta e vate arbëreshë Girolamo De Rada, che fin dal 1836 aveva dato un significativo e determinante impulso alla letteratura.

 

Le idee risorgimentali portate avanti dal De Rada e da tanti altri arbëreshë, secondo il Lorecchio, erano riuscite a suscitare il movimento che soprattutto negli ultimi decenni dell’Ottocento si era concretizzato in Albania a cominciare dalla Lega di Prizren del 1878, punto di riferimento importante per la svolta autonomista dell’Albania dalla Sublime Porta.

 

Prizreni                                                    Valona – Commissione Internazionale

 

Il movimento di rinascita nazionale d’Albania, il Lorecchio lo salda direttamente con la necessità di preparazione dei quadri docenti, preparazione che non poteva essere data in Albania, a causa della politica turca ancora dominante, e dunque da ricercare all’estero là dove maggiore era l’opportunità per le condizioni logistiche e culturali:

Non è a dimenticare che l’attuale movimento nazionale albanese, riconosciuto e preso oramai in considerazione da tutta Europa, è stato suscitato e tenuto vivo dalle Colonie in Italia, a mezzo degli studi linguistici e letterari; che nei giovani albanesi di là dall’Adriatico, per siffatto movimento nazionale, comincia più che mai a sentirsi urgente il bisogno della istruzione e della educazione civile; che non potendo egli no avere, per le condizioni speciali in cui si trovano, istituti propri, cercano e chiedono di essere ammessi in quelli che più si avvicinano ai loro costumi ed alle loro abitudini.

(ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546, Pro-memoria a Sua Eccellenza il Comm. Finocchiaro Aprile, Ministro Guardasigilli, Roma 20 ottobre 1898).

Tra i primi studenti che hanno trovato ospitalità nel Collegio di S. Demetrio, il Lorecchio cita il giovane Giovanni Ingris di Scutari, presente a S. Demetrio già dal 1897. Da quest’anno il Collegio registra una progressiva e sempre più numerosa presenza di giovani albanesi, che si accentua soprattutto dopo il 1903, quando terminano i lavori di ristrutturazione dell’edificio, voluti e diretti dal commissario prof. Scalabrini, sulla base delle nuove esigenze, e quando il collegio diventa Istituto Internazionale con apertura all’Albania.

Giovani albanesi nel Collegio S. Adriano

I due pro-memoria che il Lorecchio invia al ministro degli Affari Esteri, Giulio Prinetti, nel 1902, ribadiscono in primo luogo la necessità sempre più impellente che si avvertiva di offrire istruzione ai giovani d’Albania: non un’istruzione che avrebbero potuto offrire anche altri istituti che sorgevano in Italia, ma un’istruzione che si sarebbe svolta come nella loro terra. Il Lorecchio ama soffermarsi sulla particolare accoglienza che avrebbero ricevuto gli studenti d’Albania in un contesto arbëreshë che diventava un forte tramite non solo umano ma al contempo strategico nella prospettiva della politica estera italiana che si andava delineando nei Balcani:

In un collegio ove si troverebbero come in casa propria e non soffrirebbero la nostalgia della lontana patria. In S. Demetrio Corone, come in Macchia Albanese, come nei tanti altri paesi circonvicini, quei giovani sentirebbero parlare la loro lingua, troverebbero i propri usi e costumi e le consuetudini familiari proprie, sarebbero circondati dall’affetto fraterno che solo dalla comunione del sangue può essere imposto; e quei giovani sarebbero gli ispiratori più efficaci presso le loro famiglie in Albania dei sentimenti di simpatia e di affetto per questa nostra Italia.

(ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546, Per il Collegio italo-albanese di S. Adriano in Calabria. A Sua Eccellenza Giulio Prinetti Ministro per gli Affari Esteri Pro-memoria.)

Collegio S. Adriano – 1902-1903-

Nello stesso pro-memoria al ministro Prinetti degli Affari Esteri accenna al problema della concorrenza internazionale dell’Austria,  quando (il Lorecchio) si espone a raccomandare il prof. sacerdote di Scutari don Gaspare Jakova, che aveva espresso il desiderio di recarsi nel Collegio di S. Demetrio per insegnare agli studenti arbëreshë e shqiptarë (gli albanesi d’Albania).   Alunni e docenti al Collegio S. Adriano

Va sottolineato che il clero cattolico di Scutari, e soprattutto i gesuiti là operanti, erano filo-austriaci, come lo era lo stesso don Gaspare. Il Lorecchio, caldeggiando la richiesta del sacerdote Jakova, quale professore nel Collegio di S. Demetrio, ritiene che se ne possano avere dei vantaggi anche nell’ambito della strategia che mirava ad attirare le simpatie della gerarchia ecclesiastica, fino allora troppo spostata verso l’Austria, a favore della politica italiana. Eloquenti le sue parole al ministro Prinetti:

In continuazione di altro mio pro-memoria di pari data, riguardante il Collegio Italo-Albanese di S. Adriano, in Calabria, il sottoscritto si reca a dovere di far noto all’E.V. qualmente tra gli aspiranti ad uno dei posti di professore nel Collegio medesimo, è il Rev. Parroco Don Gaspare Yakova, nato e residente in Scutari d’Albania. Il Rev. Yakova ha esternato spontaneamente cotesto desiderio al sottoscritto con lettera dei 4 e 10 luglio u.s. e pare che abbia altresì inviata analoga istanza al Comm. Scalabrini ora R. Commissario per il Collegio. Per cominciare ad entrare praticamente nell’ordine di idee di distrarre dalla diretta dipendenza austriaca il clero cattolico di Albania ed attirarlo in una nuova orbita di azione italiana, che agli albanesi è speranza e garanzia di libertà, prossima o lontana, occasione migliore né più propizia non si potrebbe porgere; avvegnacchè il Rev. Yakova sia tra i più illuminati sacerdoti cattolici albanesi per la coltura della mente e goda nei suoi passi grandissima influenza per il posto che occupa nella gerarchia ecclesiastica.

                   

Macchia Albanese  1963-Traslazione ossa di G. De Rada

(In processione in fondo a sinistra Giuseppe De Rada e Girolamo De Rada Jr. A seguire  a portare l’urna sono i ragazzi del Ginnasio-Liceo del Collegio. Si intravedono: Dino Gradilone, dietro Giampietro , Ernesto,accanto Vincenzo Patitucci, si intravede la signora Vittoria , sono vestiti con abiti arberesh.)

Alla morte di Girolamo De Rada nel 1903, a succedergli nell’insegnamento dell’albanese, nel Collegio di S. Adriano, fu proprio il sacerdote Gaspare Jakova di Scutari, al quale successero vari altri professori d’Albania: Aleksandër Xhuvani, di Elbasan (1906-1909), Kol Martinaj di Scutari (1909-1914), Mehdi bej Frashëri (1915- 1918), e poi Hamdi Karasi (1919-1920).

Anche Luigj Gurakuqi di Scutari, valido personaggio politico dei primi due decenni del secolo, più volte ministro, studiò nel Collegio Internazionale e diede lezioni di lingua albanese.   

 

La presenza di professori d’Albania nel Collegio di S. Demetrio è dovuta anche all’arrivo dall’Albania di un numero sempre più grande di studenti.

 

Studenti albanesi Collegio S. Adriano 1921

 

Funzione dell’Istituto Internazionale

Nell’a.s. 1903-1904 assistiamo, oltre che all’apertura degli edifici ristrutturati, anche all’ampliamento dell’offerta didattica dell’Istituto Internazionale Italo-Albanese. Il regio commissario comm. Angelo Scalabrini ottenne, infatti, il pareggiamento del liceo-ginnasio (1903), e cosa più interessante l’istituzione di una “Scuola Normale” per la preparazione degli insegnanti elementari che avrebbero svolto la loro professione in Albania, e l’istituzione, infine, di una “Scuola Tecnica” di tipo “agrario” dal 1912 in poi.

I Fase

 La puntuale documentazione dell’Archivio del Ministero degli Affari Esteri italiano ci offre notizie dettagliate sugli studenti e sui luoghi di provenienza. I primi studenti albanesi iscritti nell’anno scolastico 1904-1905, sono in tutto sette, di cui cinque provenienti da Scutari (Kamzì Nicolò, Kodelli Luigi, Kurti Giuseppe, Prenushi Lazzaro, Trushiani Pietro), uno da Durazzo (Avram Naun) e il settimo da Berat (Besko Panaiota) che hanno frequentato per un triennio la “Scuola Normale”173. Godevano tutti di borse di studio del Ministero degli Affari Esteri italiano.

(ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 546, Elenco degli alunni iscritti nella Scuola Normale annessa al Convitto Italo-Albanese in S. Demetrio Corone dall’anno 1904-1905 al 1908-1909.)

 

Questo primo progetto si rivolgeva al nord dell’Albania probabilmente per contrastare la politica austriaca. Dello stesso avviso è il deputato arbëreshë Guglielmo Tocci di S. Cosmo Albanese (CS) (1827-1916),

                                                                                Guglielmo Tocci

già sindaco di Cosenza, poi consigliere provinciale e deputato alla X e XII legislatura del Regno d’Italia, quando nel 1914, all’arrivo del principe Wied in Albania, si rivolge al commissario Scalabrini sottolineando l’importanza che rivestiva il Collegio di S. Demetrio, ormai Istituto Internazionale, per la politica italiana al fine di attirare consenso, simpatia e attenzione: E fu per questo riguardo che io ho voluto far rilevare questa importanza del nostro Collegio, che ha assunto una missione politica che l’Italia deve guardare con interesse, oggi che (è inutile nasconderlo) gli Stati più vicini all’Albania fanno a gara per guadagnarne le simpatie174. Si preparava, dopo il fallimento del principato di Wied, da un lato l’avanzata degli austro-ungarici che nel 1915 avrebbero sostituito nell’occupazione i serbi a Scutari e a Durazzo, dall’altro la concessione all’Italia delle zone di Argirocastro e di Giannina, oltre che di Valona e dell’isola di Sazan.

Dopo l’indipendenza dell’Albania, dichiarata dal deputato Ismail Qemal Vlora nel novembre del 1912, e poi presidente del Consiglio dei Ministri, la situazione in Albania diventava ancor più critica: prima di tutto per la forma di governo scelta dalle grandi potenze: cioè l’invio del principe tedesco, il protestante Wilhelm Wied, che dopo un’esperienza di sei mesi dovette rinunziare al trono; in secondo luogo per le necessità economiche che assillavano il nuovo Stato; in terza istanza per l’urgenza di istruzione primaria per alleviare l’immane piaga dell’analfabetismo.

( ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 543, Lettera di Guglielmo Tocci indirizzata al Comm. Prof. A. Scalabrini, Ispettore Generale delle Scuole Italiane all’Estero, Ministero degli Esteri Roma, 14 febbraio 1914.) 4 ASDMAE, Scuole S. Dem. 2, 1902-1922, b. 543, Lettera di Guglielmo Tocci indirizzata al Comm. Prof. A. Scalabrini, Ispettore Generale delle Scuole Italiane all’Estero, Ministero degli Esteri Roma, 14 febbraio 1914.

Salonicco – Agosto 1916 – Seduti da sinistra: Esad Pascià Toptani,

il Gen. Naurice Sarrail commandante della < Armè d’Orient>, il generale Alfonso Petitti di Roreto, commandante delle Forze Armate Italiane in Macedonia.

Ma lo scoppio della Prima guerra mondiale creava ancora maggiori difficoltà, per cui si allargava lo spazio di intervento per gli Stati già presenti in Albania. La “Scuola Normale”, annessa al Collegio di S. Demetrio, cominciò ad accogliere anche studenti militari albanesi, che prestavano servizio nell’esercito italiano dislocato nelle zone di Valona e di Argirocastro, studenti che volessero seguire un corso accelerato nell’Istituto Internazionale di S. Demetrio per poi ritornare in patria a svolgere la professione di insegnanti elementari di cui si aveva urgente bisogno sia nelle zone urbane e sia nelle zone rurali.

 Il dr. Luigi Bocconi, direttore generale delle Scuole Italiane all’Estero, nel 1918 in un “Promemoria circa il Collegio Italo-Albanese di San Demetrio Corone” sostiene che gli alunni del Collegio crebbero notevolmente, ed in esso furono accolti numerosi giovani albanesi, provvisti per la maggior parte di borse di studio del Ministero Affari Esteri: cosicchè attualmente il Collegio conta circa 200 convittori, di cui 50, appunto albanesi; e ad essi vanno aggiunti circa 30 sottufficiali alb

Sempre nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri italiano è conservato l’elenco completo degli studenti albanesi del corso magistrale dell’anno 1917, in cui sono puntualmente registrati tutti gli studenti albanesi con tutti i dati personali e le zone di provenienza, che in massima parte sono Valona, Elbasan, Argirocastro, Përmeti, Delvino, Libohova, e altre zone del sud, ma qualche studente proveniente anche da Scutari.

E siamo nel 1919, a termine della Prima guerra mondiale, quando cento studenti del Collegio di S. Demetrio, in gran parte d’Albania, si riuniscono in pubblica assemblea e dopo avere espresso un giudizio pienamente soddisfacente sull’operato dell’Istituto Internazionale, formulano un memorandum all’onorevole Sidney Sonnino, ministro degli Affari Esteri italiano, con la richiesta di passaggio dell’Istituto Internazionale Italo-Albanese alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri (da quello di Grazia e Giustizia e dei Culti, da cui all’epoca dipendeva), e dunque la sua piena laicizzazione, intesa come distacco dalla funzione religiosa, che parallelamente aveva svolto in passato.

 Corpo docente al Collegio primi del 900

 

Si giustificava questa forma di distacco dalla funzione religiosa, in quanto, ora, proprio nel 1919 era stata creata un’apposita eparchia per gli arbëreshë dell’Italia continentale.

Dalla documentazione conservata nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri italiano emerge con determinazione l’attenzione costante e l’impegno per porre rimedio al fenomeno dell’analfabetismo presente in Albania, prima e dopo l’indipendenza. La “Scuola Normale”, annessa all’Istituto Internazionale di S. Demetrio Corone, possiamo ritenere che abbia dato un suo singolare contributo in questa direzione. Memorandum all’On. Barone Sidney Sonnino Ministro degli Affari Esteri Italiano Parigi. Tutt’i giovani dell’Alta e della Bassa Albania dimoranti per ragioni di studio in San Demetrio Corone, oggi 15 giugno 1919 si riuniscono in solenne comizio, e considerando:

1° che essi, convenendo nel Collegio Italo-Albanese dal 1913 in poi e raggiungendo nel 1918 il numero cospicuo di cento, compresi i sottufficiali albanesi destinativi dall’On. Ministero della Guerra per un corso Magistrale accelerato, vi hanno, con piena soddisfazione, raggiunte le finalità morali e intellettuali per cui eran venuti;

2° che il Collegio medesimo, posto com’è in mezzo alle numerose colonie albanesi della Calabria cosentina, costituisce la natural sede destinata da una tradizione secolare e inalterabile a educare e istruire gli Albanesi dell’una e dell’altra sponda di quel mare a cui sì vivamente gl’interessi dell’Italia e dell’Albania si connettono;

3° ch’esso Collegio, situato in luogo salutare, amenissimo e lontano dai rumori e dalle distrazioni delle città, è il meglio adatto a nutrire le anime adolescenti di quei severi studi che preparano alla vita e danno sviluppo ai sentimenti più propriamente degni dei grandi avi shqipetari;

4° che l’opera illuminata e amorosa di tutti gli Italo-Albanesi sì profondamente memori della loro origine, è valsa nel passato, con attività molteplice, a mantenere acceso il fuoco sacro dell’idea nazionale albanese e a creare una vera e propria letteratura d’Albania (basta ricordare Girolamo De Rada nome ben noto in Europa) e concorrerà validamente in avvenire a sollevare, moralmente ed economicamente, la patria Albanese;

5° che dalla gioventù sorgente la povera Albania si attende, dopo circa cinque secoli di malgoverno turco, un avvenire di benessere, di progresso, di civiltà, sotto l’egida della pace e della giustizia;

6° che, alle finalità molteplici della gioventù albanese il Collegio di San Demetrio pienamente risponde, colle sue scuole classiche, normali, agrarie, elementari e coll’insegnamento della lingua d’Albania, al quale sarà aggiunto quello della storia civile e letteraria e della geografia in particolare della regione albanese;

7° che al figliuolo d’Albania, precluso il campo di Berlino e di Vienna, resta, circa l’istruzione, solamente l’Italia;

8° che l’Istituto di S. Demetrio Corone, a cui oggi convergono le anime di tutto il popolo shqipetaro, manca tuttora di una definitiva sistemazione finanziaria e giuridica, fanno voti che il Governo d’Italia, abrogando ogni legge e disposizione passata concernente il detto Collegio, avochi questo a sé, ponendolo alla diretta dipendenza dell’On. Ministero degli Esteri e pareggiandolo in tutto alle altre Scuole Italiane all’Estero. Siffatto provvedimento, che Albanesi e Italo-Albanesi si attendono senza indugio, sarà utilissimo anche ai fini del Governo medesimo, in quanto il Collegio di S. Demetrio Corone, e le circostanti colonie albanesi costituiscono un vero anello di congiunzione tra l’Italia e l’Oriente. Fiduciosi che V.E. s’interesserà subito affinché il nuovo anno scolastico segni l’avvento della riforma del Collegio di S. Demetrio Corone, quale è negli auspici e nei voti degl’Italiani e degli Albanesi, Le rassegnano la loro perfetta osservanza.

San Demetrio Corone, lì 15 Giugno 1919, Di Vostra Eccellenza devotissimi: 1. Fortusi Omer; 2. Pogu Angelo; 3. Fazio Oreste; 4. Filippo Giovanni; 5. Ziu Basilio; 6. Zeza Cristo; 7. Ramo Hassan; 8. Francesco Chiodi; 9. Rizzuti Francesco; 10. Plaku Airedim; 11. Margheriti Lazzaro Varia; 12. Demetrio Boiagi; 13. Giudicissi Vincenzo; 14. Becci Vincenzo; 15. Tarsia Raffaele; 16. Hagi Fortusi; 17. Negimadri Chiorilli; 18. Chianì Panariti; 19. Shiukri Ali; 20. Secfit Muarem; 21. Ciarçiani Fasli; 22. Ramis Varvarizza; 23. Hagia Daniele; 24. Stairo Zizzo; 25. Driza Erfano; 26. Evangelo Samargi; 27. Becci Giovanni; 28. Ismail Balusa; 29. Alifehmi Nidai; 30. Temistocle Sganga; 31. Mario Bebecchi; 32. Conir Francesco; 33. Cosimo Minisci; 34. Mefa Giorgio; 35. Pandeli Gjika; 36. Stringoperlo Spiridione; 37. Eqrem Mustafà; 38. Costantino N. Kolèa; 39. Armando Elmo; 40. Giuseppe Chiodi; 41. Aslan Merlica; 42. Nicolau Nicola; 43. Sciaip Mersin; 44. Caralamba Gherza; 45. Pasquale Cucci; 46. Mario Marini; 47. Nociti Arturo; 48. Sezai Nota; 49. Hyssen Nota; 50. Ismail Tartari; 51. Mendicini Giuseppe; 52. Mendicini Salvatore; 53. Domenico Grisolia; 54. Campolongo Vincenzo; 55. Gradilone Davide; 56. Pagliaro Francesco; 57. Bloise Francesco; 58. Loricchio Angiolino; 59. Vlassio Naca; 60. Emin Hora; 61. Battista Puppio; 62. Ieno Gennarini; 63. Gallo Maria Giuseppa; 64. Mazziotti Lina; 65. Staffa Oreste; 66. Loli Tino; 67. D’Amico Silvia; 68. Maria Solano; 69. Giuseppina Prezzo; 70. Nevai M. Asllan; 71. Romio Budo; 72. Radivia Pasquale; 73. Raghilo Qorelì; 74. Izot Halid; 75. Kjasim Merlica; 76. Mustafa Zihni; 77. Behexhet Kossova; 78. Giorgio Colla; 79. Grandinetti Arturo; 80. Pandeli Scrami; 81. Chiazim Neki; 82. Alfonso Cucci; 83. Cadri Bosci; 84. Deda Antonio; 85., Gazzulli Stefano; 86. Tito Scrame; 87. Halid Balhusa; 88. Mustafà Hassan; 89. Giacomo Codelli; 90. Reshad Aslan; 91. Hassim Hiuer; 92. Rassim Hamrasai; 93. Ali Gjoni; 94. Gelal Haska; 95. Ismail Taci; 96. Adem Gjomeneli; 97. Scefqet Lelcupa; 98. Galip Sadullà; 99. Ahmed Gemal; 100. Suad Asllan Nepranishta.

Angelo Lino Luzzi, a nome dell’ Associazione Shpirti Vendit – Genius Loci, ringrazia il Chiar.mo Prof. Italo Fortino

  • Mappe e Foto con qualche nota sono di A.LinoLuzzi

 

 

 

San Demetrio Corone – 6 novembre 2018  Vigilia della visita

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Messaggio di saluto ai Presidenti  Sergio Mattarella e Ilir Meta.

Mir se na erdhit Shẽn Miter C. – Benvenuti a San Demetrio C.

La vostra visita è motivo di gioia, di orgoglio e di speranza.

La presenza di due presidenti è un ulteriore dono che la storia ha voluto riservare a questa comunità,  e arricchisce ulteriormente le eccellenze del nostro distinto patrimonio materiale e immateriale ancora non adeguatamente compreso e sviluppato in risorsa.

Dopo “L’artefice” di tutto, San Nilo, figura sempre ignorata, dopo l’importantissimo ruolo e attività del Collegio Sant’Adriano, Italo Greco prima e Italo Albanese con l’Istiuto Internazionale per l’Albania poi, dopo i due Risorgimenti per l’Indipendenza e l’amicizia tra Italia e Albania, dopo la commemorazione  di G.C.Skanderbeg

ai Presidenti chiediamo  un ulteriore Risorgimento comune:

– arginare la deriva di questa nostra esistenza minoritaria, ignorata , calpestata e derisa dalla politica  e destinata all’estinzione. Si può fare attraverso il finanziamento  della legge 482, per la sua attuazione e per la totale tutela della MinoranzaArberesh, adempiendo agli art 3 e 6 della Costituzione.

– Creare possibilità lavorative anche attraverso aiuti di processi bilaterali tra Italia e Albania insistendo sul patrimonio storico-culturale e quindi sul  Turismo Culturale,Sostenibile ed Enogastronomico posponendo alla “cultura negata”, margini di speranza per le future generazioni.

a Lei presidente Ilir Meta, grazie per il dono, aver consentito questo incontro di portata storica.

Altrettanti voti augurali e grazie a Lei ,Presidente Mattarella,  giungono da chi nel Sud, alla Rassegnazione contrappone la Speranza di un’alba migliore da contrapporre a politiche ottocentesche.

In una democrazia non ancora compiuta e con un futuro che non ha molte luci, ripongo in Lei ogni speranza per noi arberesh, consapevole che Lei farà trionfare i Valori veri, quelli umani , sociali e politici.

.Noi siamo capaci di progettare il nostro futuro, basta pulire la zavorra che impedisce gli ingranaggi della creatività e del progresso. La sua esortazione ai Valori, per noi sono motivo di speranza; le rievocazioni delle tradizioni, il riutilizzo dei saperi e dei sapori, dei simboli dimenticati, Bandiera, Inno, sono tutti elementi per far trionfare gli afflati che giungono dal basso, come il modesto  pensiero di affetto della cartolina ricordo, una delle nostre tante idee soffocate.

L’amore per la famiglia, la passione  per la nostra terra, per l’appartenenza , fanno parte di quel orgoglio che mi ha spinto a questo modesto saluto e a rischiare che qualcuno leggendolo mi consideri un illuso, un ingenuo un credulone. Nella mia lunga attività, anche per il mondo, ho imparato ad essere concreto, le cose che sento non le mando a dire. Ciò che facciamo oggi attraverso il volontariato con la nostra modesta Associazione Shpirti Vendit-Genius Loci penso, in futuro potranno trasformarsi in notevoli attività per l’economia e la residenzialità locale.

Al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella e al Presidente della Repubblica Albanese Ilir Meta grazie e buon Lavoro. Mir se na Erdhit.

Angelo Lino Luzzi.

San Demetrio Corone, 7 novembre 2018

 

 

 

 

 

 

IL FESTIVAL DELLA CANZONE ARBERESHE

IL FESTIVAL DELLA CANZONE ARBERESHE

IL FESTIVAL DELLA CANZONE ARBERESHE

(  Un contenitore culturalmente e strutturalmente vuoto, cosa fare? )

di Angelo Lino Luzzi (c)

 

Prima parte

Togliere un sassolino dopo più di 30 anni di suggerimenti ignorati, potete immaginare cosa si prova, era diventato “ GN GUR STIPATURI” ( un pestello da mortaio).

Alle prime edizioni del Festival della Canzone Arbẽreshe considerate di rodaggio, sono seguite altre trenta, accompagnate da una fitta nebbia di affabulatori e pifferai del nulla. Traditi tutti gli obiettivi di identità culturale, man mano è calato l’interesse,  ha prevalso il dilettantismo facendo venir meno anche l’aspetto aggregativo.

La continua mancanza di una struttura Festival con le figure adatte a ricoprire i ruoli importanti e specifici previsti dalla disciplina di simili manifestazioni, in questi ultimi 30 anni ha compromesso le attese di tutta la Diaspora, non è stata di aiuto a San Demetrio Corone e agli altri paesi arbẽresh e ha vaporizzato anche risorse di tutti.

L’idea Festival con le pezze giustificative per l’accesso alle risorse istituzionali, come la valorizzazione della lingua, il mantenimento delle tradizioni, del folclore e la stessa cultura della Diaspora, non si potevano nutrire con slogan ad effetto attraverso l’uso di aggettivi superlativi in mancanza di contenuti. Le millantate presenze di folle oceaniche pubblicate in pagine ufficiali e da banditori cibernetici non sono evidentemente servite ad alzare minimamente il “livello Festival”. E’ venuta a mancare ogni anno la sintesi culturale più alta, nessuna nota scientifica pubblicata,  nè tantomeno discussa. Il Festival della Canzone Arbereshe si arena al solo ed apparente  momento aggregativo per i primi anni, per poi finire scemando.

Non sono bastate le minacciose lettere del Comitato alla Rai regionale ad elemosinare qualche servizio video, magari anche ottenuto senza inviato, per la mancanza di interesse.

A soffiare sul fuoco dell’inconsistenza, puntualmente, discutibili esternazioni si susseguono ogni anni dal palco, trattato come un collettore delle istanze  tra le più varie e contraddittorie  che ripropongono una paccottiglia populista e narcisista che in 30 anni ha stravolto il festival, rendendolo uno zibaldone artistico.

L’invadenza politica ha stravolto e deluso l’aspetto valoriale  assunto nella puntualizzazione fatta nel 1986 dall’avv. Giuseppe D’Amico:<< Il festival è diventato il simbolo della nostra gente……e poiché è la bandiera di tutti gli Arberesh, non deve avere colorazioni politiche>>. 

Per 30 anni sono state ignorate tutte le attenzioni, riflessioni basilari  di ripensamento e di meditazione per un rinnovo della tematica arbẽreshe, ormai  condannata alla scomparsa. E’ venuto a mancare l’aspetto creativo-culturale e promozionale, sono state  privilegiate  furbite forzature politiche e pseudo giornalistiche, sterili per uno studio  ed una critica musicale seria utile alla salvaguardia  e alla tutela della nostra cultura nel rispetto di un sano equilibrio tra antico e nuovo, tra passato e presente senza dover far uso forzato alla partecipazione di terzi (art 1 / regol.) in assenza di sostanziali passaggi.

L’assenza di presentare uno spartito musicale, in trent’anni ha posto e  pone seri dubbi sulla inedita originalità della musica, e spesso anche dei testi. Essendo complesso lo spartito musicale in tutte le sue parti, basterebbero le chiavi delle partiture del pentagramma dei giri armonici, utili anche successivamente a utilizzare, per suonare i brani, altrimenti le nuove generazioni per suonare un brano devono reinventarsi.

Questa basilare mancanza  ha ulteriormente cresciuto l’esercito dei “mestieranti” solerti e ligi all’appuntamento  sandemetrese.

Pare che l’elenco di canzoni copiate, plagiate, siano degne di essere annoverate in un albo d’oro dei falsi d’autore o del copia-incolla.

Ma non ci si meraviglia che tutto accada in  ambienti come i nostri dove, alle carenti conoscenze in materia  subentrino il copia e incolla, dove si fanno proprie le idee degli altri, in un modo arrogante , sfacciato e presuntuoso tipico di residui di sudditanze e di altre patologie.

Investire i soldi dello Stato per decenni, dimenticandosi della materia prima e gli obiettivi del Festival, non è una distrazione da poco. L’effimero è facile da costruire, un pò meno sono gli aspetti pregnanti della nostra cultura materiale e immateriale.

Il canto arbẽresh è un bene culturale tutelato:

     Art. 2

(Definizione di bene culturale)

In attuazione della legge 15.12.1999, n 482, dell’art. 56, lettera “r” dello Statuto regionale e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali costituiscono bene culturale dei Comuni di cui all’articolo 1 della presente legge, la lingua, il patrimonio letterario, storico ed archivistico, il rito religioso, il canto, la musica e la danza popolare, il teatro, le arti figurative e l’arte sacra, le peculiarità urbanistiche, architettoniche e monumentali, gli insediamenti abitativi antichi, le istituzioni educative, formative e religiose storiche, le tradizioni popolari, la cultura materiale, il costume popolare, l’artigianato tipico e artistico, la tipicizzazione dei prodotti agro-alimentari, la gastronomia tipica, e qualsiasi altro aspetto della cultura materiale e sociale.

Attualmente il Festival Della Canzone Arbereshe risulta istituzionalizzato  con la legge 15 regionale del 2003, di questo parleremo nella seconda parte.

Quindi è una cosa seria, tutta “l’apparenza” che ruota con l’effimero non produce bene.

Selfarsi, per dire io c’ero, non crea mentalità collettiva identitaria,  ne crea il Festival di San Remo, crea solo, il paolino di turno.

Mille scatti di selfi  e di foto alla “Paolino” non fanno raggiungere standart  da star Holliwoodiana, ne a creare un Paul Newman, né riempire di prestigio i numerosi tifosi del mettersi in mostra.

Ci vuole un gran lavoro dietro un Festival e soprattutto quando è finanziato con i sodi pubblici di tutti quanti noi, perché con i soldi propri, ognuno può fare quello che vuole.

Il Festival della Canzone Arbereshe per le sue specifiche finalità valoriali non può essere una “Prenotazione Last Minute” riassunto dentro qualche ora tra passerelle, ricchi premi  da tredicesime d’oro estive e papion.

Cosa bisogna fare per cambiare questo zibaldone artistico improduttivo?

Cosa bisogna fare per migliorare il Festival della Canzone Arbẽreshe?

 

PROPOSTA

La mia proposta non ha dell’assoluto ma, impone una pausa di riflessione e di serio dibattito.

Il Festival non permette velocità a senso unico e con un solo macchinista ma, permette di far respirare a tutti, per poter coglier gli aspetti contenutistici e quelli in prospettiva futura, denunciandone le fragilità.

Comprendiamo bene il possesso “del giocattolo è mio e guai a chi me lo tocca”, almeno giocate culturalmente  bene, seriamente bene, ascoltate i suggerimenti di chiunque. Fermatevi un po’, rilassatevi, in fondo non si chiede tanto, solo un lungo respiro e una pausa che separi il respiro retorico, per dirlo in chiave musicale, come il musicista di jazz pende fiato tra le varie suonate.

 Per riempire il contenitore Festival della Canzone Arbereshe nelle sue finalità culturali e strutturali, occorre per prima cosa, avere l’umiltà di :

 

  • RIAVVOLGERE IL NASTRO e contare sulla politica dell’ascolto e riflettere sulle finalità secondo l’ideatore del Festival avv. Giuseppe D’Amico e soprattutto ricordarsi che il Festival della Canzone Arbẽreshe è di tutti.

     PIANIFICARE il Festival della Canzone Arbẽreshe significa riempirlo di contenuti culturali e        strutturali individuando un:

COMITATO FESTIVAL regolato dall’ordinamento civile italiano e disciplinato negli art. 39 e 42 del Codice civile che sceglie, insieme al parere dell’Assessorato Al Festival del Comune di San Demetrio Corone, le figure annuali del Direttore Artistico e Direttore Organizzativo;

UN DIRETTORE ARTISTICO

qualcuno che sappia veramente di che cosa si stia parlando per avere una idea chiara di quello che si vuole andare a fare , sicuramente convinto di mettere su una squadra nei vari comparti, di persone umilmente competenti che abbiano motivazioni e passione.

Un direttore artistico capace e rispettoso delle discipline demo-etno-antropologiche nelle dinamiche di quella che dovrebbe essere la cultura del Festival della Canzone Arbẽreshe. Definisce insieme al direttore organizzativo le risorse necessarie, economiche, professionali ed organizzative dopo aver individuato il luogo adatto alla manifestazione (la location).

Il direttore artistico valuta e seleziona le canzoni e lo spettacolo da proporre, cerca le professionalità tecniche più adeguate per definire il contenuto della campagna promozionale e si occupa contattare enti pubblici e soggetti privati che favoriscono la crescita dell’iniziativa.

Segue le prove  e verifica anche tutti gli aspetti tecnici dell’acustica e del sonoro luci, riprese, scenografie e garantisce tutto il materiale per elaborare le proposte  di convegni e rassegne per soddisfare tutti gli obiettivi finalizzati all’essistenza del Festival e soprattutto a promuovere il nostro patrimonio materiale e immateriale a fini culturali e turistici e a porre le basi per  garantire un tassello nel mosaico del comune sforzo di non perdere la lingua, una nicchia di sopravvivenza, arginando lo spopolamento in atto nei nostri paesi arbẽresh.

Al direttore artistico spetta il compito dell’innovazione e la scelta delle belle canzoni senza le cretinate degli insindacabili giudizi di fantomatici comitati, mai esistiti, o meglio infornati a tarallucci e vino.

UN DIRETTORE ORGANIZZATIVO,

 definisce possibili sinergie con il direttore artistico ed insieme fanno partire la struttura del Festival della Canzone Arbereshe, già definita nella sua parte giuridica , con un luogo fisico definito e una stanza dove poter andare a bussare alla porta alla bisogna. Un luogo comune che non richieda ulteriori presenze  di gestione ma inglobi essenzialmente il materiale tecnico-amministrativo adeguato e programmato al suo format.

Se dovesse capitare come sede istituzionale il Comune di San Demetrio Corone, tanto meglio, perché utile e sussidiaria risulterebbe la presenza dell’Assessorato creato per il Festival che, rispettoso della grande tradizione della filosofia classica che sostiene la parola politica, garantirà sicuramente il patrocinio istituzionale e le risorse per l’attuazione, nonostante Il Festival Della Canzone Arbẽreshe risulti finanziabile con un articolo della legge 15 del 2003 regionale calabrese, legge sulle minoranze linguistiche.

Se fosse il Comune di San Demetrio Corone unico a gestire, cosa discutibile, dovrebbe indire, in ogni caso, una sorta di gara aperta a tutti per individuare soggetti con comprovate esperienze curriculari a formare  un Comitato Festival e mantenere lontano i residuati galoppini proni ai politici.

Intanto bisogna dire che gli obblighi del Comune dovrebbero essere tantissimi per un Festival istituzionalizzato grazie alla pressione del Comitato storico sull’0n. Guagliardi, ideatore della legge 15 regionale sulle minoranze. Parleremo nella seconda parte

  • UN REGOLAMENTO

Per rispetto alla storia, prima di tutto bisogna decidere che tipo di Festival fare, quello voluto dall’ideatore o quello desiderato per soddisfare altre esigenze.

Se si vogliono rispettare le nobili finalità in origine allora sarà meglio rivedere l’art n°1: Possono partecipare al Festival gli autori di canzoni inedite esclusivamente in lingua Arbẽrisht / Italo-albanese. La lingua Shqipe può attendere ancora dal momento che parliamo e dobbiamo ancora salvare l’ ARBERISHT, ma, soprattutto perché, è “ Festival della Canzone Arbẽreshe” e sono auspicabili partecipazioni dai balcani,  dietro una preventiva e strategica tutela dell’Arberisht, altrimenti  prendiamo in giro noi e lo Stato Italiano, e non è serio.

LO SPARTITO MUSICALE

C’è tanta complessità in uno spartito musicale completo, comunque, la canzone presentata dovrebbe essere corredata dal proprio spartito musicale, o dalle chiavi del pentagramma oppure da  giri armonici di riferimento, se si vuole fare sintesi di cultura. Spetta al Direttore Artistico e al presidente del Comitato Festival firmare le comunicazioni di interesse, altre firme aggiuntive sarebbero incomprensibili.

GIURIA

Bisogna decidere, se continuare a tarallucci e vino oppure creare una giuria che rispetti gli obblighi e gli obbiettivi istituzionali di un festival serio.

Senza voler mancare di rispetto all’intelligenza di tutti i componenti della giuria succedutisi in tutti questi anni , viene  spontaneo avanzare dei dubbi  sulla loro concreta incisività, visto il deludente risultato dal punto di vista etnografico che strutturale di una giuria. Sono noti a tutti, i motivi sull’abbondanza di giurati.

Una decina di figure competenti in giuria a questo festival sarebbero la soluzione ideale a salvare i contenuti, e poi libertà ad altre miriadi di giurie sparse ovunque, voti dal pubblico e con tutti i mezzi a disposizione a gogò etc.;

importante è capire la “ PASTA” della  serata e a “ COSA” servirà il giorno dopo.

Sindaci, assessori, gli amici degli amici non si invitano per fare numero in giuria, loro vanno ,comunque, invitati ufficialmente.

Occorre un piccolo sforzo empatico e sinergico per incidere e lavorare bene per favorire finalità condivise e non presunte.

Tolta la numerosa giuria, tolti i famigliari dei concorrenti, qualche appassionato esterno o rientrato per le ferie, tolto lo spazio regale che lasciate, tolte molte sedie vuote, di numeroso pubblico neanche l’ombra. Il pubblico che passeggia oltre i confini del piazzale S. Nilo (ricordatelo ogni tanto) è più interessato ad altro che al Festival.

 OSPITI

A San Demetrio Corone  ogni ospite  è benvenuto  in tutta la sua  performance artistica. La musica ha un suo linguaggio ed è piacevolmente recepito, forse quello che non viene recepito bene è il commento forzato a giustificare la presenza di un determinato artista nel nostro contesto. Ecco perché decidere che tipo di festival fare, perché è un terreno complesso  ed è facile scivolare.

Non può sfuggire a critici  ed opinionisti in materia l’uso convenevole che si fà della  parola CONTAMINAZIONE, abusata, logorata e consumata e tipica da mestieranti, che dice tutto e niente. La mente ci trasporta a padre Cristofaro di manzoniana memoria, ospite di Don Rodrigo, attorno ad una tavola imbandita, portava tutte le strade a Roma; faceva convergere temi diversi su un punto a lui noto, sono espedienti vecchi.

 INNOVAZIONE

Difficile innovare, quando non si è mai partiti, eppure già dai primi anni fanno capolino un paio di canzoni con essenze di rinnovamento generazionale; ne conosco almeno 5 canzoni tra le quali, IKE melodia moderna a beguine sincopata, la musica HIP HOP del RAP di una altra canzone partecipante, la stessa MOS ME Cai  oppure SOT U SGJOVA .

Se si parla di  nostre contaminazioni musicali sulla scia della WORLD MUSIC degli anni fine 80, fatta di musica popolare, di tradizione etnica e folk è un discorso sempre piacevole,  anche sui suoni percussivi, un po’ anzianotti. Diversa e la contaminazione, sempre egregiamente e con successo innovata e rappresentata bene nelle molteplici versioni, dagli amici della PEPPA MARRITI BAND.

Si fa sempre in tempo a cercare contenuti, prospettive e innovazione al Festival.

PER RIGENERARE BISOGNA DECIDERE CHE TIPO DI FESTIVAL FARE E STABILIRE IL SUO PERCORSO SERIO.

Fin quì la critica sulle evidenti carenze di base del festival

Però bisogna parlare anche dei tanti aspetti positivi, anche se non sufficienti a colmare il vuoto del contenitore festival.

Certamente in questi ultimi 30 anni non solo note stonate, perché grazie al settore dei cantanti partecipanti, anche se cercati con il lumicino, si è comunque avvertita la prossimità di una lingua diversa. Sono tantissime le belle canzoni presentate da voci esperte e musicisti all’altezza, a parte i mestieranti. Tutto il comparto andrebbe organizzato.

CONDUZIONE

 Per la presentazione del Festival non c’è molto da dire, almeno positivo dal punto di vista estetico. Sempre eleganti  i conduttori e le conduttrici.

Quello che potrebbe preoccupare è la carenza di dettagli e l’uso ripetitivo di sinonimi di un vocabolario striminzito e già noto dai primi anni, come se, veramente il Festival della Canzone Arbẽreshe si fosse fermato 30 anni fa senza nessun progresso.  Ma è normale quando non si è pianificato nulla.

Riempire dell’essenziale non significa solo la scaletta indice e l’uso sfrenato di aggettivi superlativi, ci vogliono contenuti come i punti chiave.

Non c’è mai stata una ossatura del lavoro che necessitava.

Su molti altri aspetti  ci occuperemo la settimana prossima, non escluso l’aspetto del preliminare giuridico in atto , partendo dalla domanda che sorge spontanea:

DI CHI E’ IL FESTIVAL?

 

……… e la storia continua………..