Mese: aprile 2023

COSTANTINO MORTATI

di Angelo Lino Luzzi

25 Aprile 2023, politically correct

di Angelo Lino Luzzi ©

Dal 1989 in poi, ogni 24 di aprile,  in redazione a Radio Shpresa E1 preparavo il servizio giornalistico per mandarlo in onda il 25, giorno della festa di Liberazione dal regime nazifascista. Il politically cor rect di oggi, lo usavo anche nel 89 in quanto si cercavo di essere il più equilibrato possibile nel dare informazioni storicamente e politicamente corrette, in assenza di uno Stato che al ginnasio degli anni 60, mi aveva privato della lettura di testi  di storia successivi alla prima guerra mondiale. Ho iniziato un mio studio su fascismo ed antifascismo attraverso l’acquisto di enciclopedie e testi specifici e con la raccolta di testimonianze dirette in famiglia, come la storia di mio padre, cannoniere d’artiglieria, fatto prigioniero nella piana di Catania e deportato in Germania in un campo di concentramento. Altre esperienze acquisite qui a San Demetrio Corone, e al nord Italia insieme a quelle in Germania , mi hanno permesso di tracciare un format, non tanto basato su comode ideologie, ma sul fatto che tutta la nostra cultura italiana, non era stata in grado di far superare ad alcuni italiani un fatto fondante, la nostra stessa Costituzione  e per giunta  espresso nel primo articolo per non dire nei primi articoli

Art. 1° della Costituzione

 La miglior chiave di lettura della riflessione  sulla Festa della Liberazione sarebbe da potersi ritenere proprio l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. In essa, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È una proposizione relativa quella che specifica l’esercizio della sovranità popolare, non ci sono toni avversativi. Che le forme e i limiti siano quelli dettati dalla Costituzione avrebbe potuto e dovuto significare che quella sovranità non potesse essere usurpata da una integrale spersonalizzazione dei meccanismi di delega. Né svuotata dall’inflazione e segmentazione della consultazione elettorale, né smodatamente attuata con linciaggi, violenze e inosservanza di qualsivoglia garanzia universale.

 Mi sono basato solo ed esclusivamente sulla percezione che si ha leggendo la nostra Costituzione che rivela ad una destra responsabile post fascista, un pieno riconoscimento a quella cornice che abbraccia valori di libertà, il diritto alla vita, di religione e di lingua, soprattutto al multipartitismo etc. A farmi ricordare ogni anno il “politicamente corretto”, se mai fosse stato bisogno, è il ricordo del compleanno di mia madre 25 aprile 1926  e  la liberazione di Trieste per il fatto  che mia madre si chiama Serra Maria Cristina, ma sua madre all’indomani della città liberata,  la chiamava con il nomignolo di Triestina. Torna chiaro il politicamente corretto, tra Stato democratico, fascismo e comunismo e le tragedie di tutti gli stati totalitari non escluse le  foibe comuniste di Tito e il ritorno di Trieste. Ho sempre pensato che con la nascita del partito di Alleanza Nazionale di Fini fosse stata superata la polemica, ma ancora qualcuno non riesce ad accettare la festa della Liberazione e il riconoscimento della Resistenza. Nonostante questo sporadico gruppo in parlamento viva in cuor suo una revisione infinita tra guerre di parole, ho notato, nonostante tutto che la Presidente del Consiglio dei Ministri Meloni, ha battezzato il suo progetto “ Africa” con  il nome di Enrico Mattei, partigiano e figura di rilievo della Resistenza , forse un auspicabile segno evidente di superamento?

Diventano un po’ tutti ridicoli, coloro i quali ad ogni vigilia del 25 aprile o del 1° maggio, per sola ed esclusiva convenienza di bottega, narcisismo,riempiono ad uso strumentale giornali e  blà blà blà sui talk shows  e sui social, non considerando che screditano loro e la politica, generando altissime percentuali di  astensionismo alle competizioni elettorali.

Se durante il regime nazifascista la causa è da attribuire ad un crollo collettivo di responsabilità verso l’umanità, in questi giorni, purtroppo, per colpa di uno solo, assistiamo a genocidi e scenari di guerra che nessuno avrebbe mai immaginato, anche se le cause sono diverse, ma la sostanza è quella. Ognuno di noi  legittimamente si indigna quando i sacri  presupposti di dignità e dritti vengono solo calpestati perché secondo me è nell’istinto nostro naturale difendere l’autenticità della propria singolarità. E’ su queste basi che ho riflettuto dopo aver legittimato i confini della mia libertà di pensiero, di parola, di associazione, e dopo aver provato per un attimo a fingermi in un ambito molto più stretto, sempre più stretto, fin quando non ho avvertito la disumana percezione che la mia come la vostra personalità  stavano per essere annullate.

Bisogna seriamente riflettere su guerre ovunque, in cielo, in terra, su cadaveri di giovani deceduti, sui genocidi, su poche persone che hanno deciso e che decidono il nostro destino su questa terra, spesso ci dimentichiamo di ciò perché preoccupati unicamente di sopravvivere. Alle stragi naziste, fasciste, comuniste, agli uomini ricondotti a numeri, alle assurde leggi razziste, tutti ci dobbiamo interrogare se sia stato meglio morire ad Aushwitz o vivere dopo.

La resistenza , la tenacia dei partigiani e di folle esauste per fame e disoccupazione,  stanche di soprusi hanno costituito un barlume di speranza che si è tramutato in realtà proprio per mano della disperazione.

Come in questa data importante nacque mia madre,  mi piace pensare che l’Italia nacque o forse risorta il 25 Aprile di 78 anni fa, seppur dalle ceneri di un qualcosa che non dovrà mai più esistere, ma che non dobbiamo dimenticare. La coscienza è memoria del passato e questo dovrà essere il presupposto per un futuro degno di noi stessi.

 Per non dimenticare la festa del 25 aprile e rendere memoria viva, prendo in prestito, si fa per dire,  il richiamo del Presidente della Repubblica Mattarella sul costituzionalista arbëresh Costantino Mortati :

“La vita democratica, dopo il cupo ventennio fascista, ha le sue radici nella lotta di liberazione. E la nostra Costituzione, sigillo di libertà e democrazia, come scrisse Costantino Mortati nel 1955, nel decennale della Liberazione, ‘si collega al grande moto di rinnovamento espresso dalla Resistenza’”. Lo ha ricordato  il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo a Casoli (Ch) .

 Il costituzionalista Costantino Mortati non guardava alle formazioni sociali come corpi intermedi che assicurassero la presa politica dell’esecutivo in ogni spazio dell’agire sociale. Esigeva che i partiti fossero una forma dell’esercizio della sovranità popolare. Il luogo della formazione della classe politica, l’osservatorio delle dinamiche dell’azione di governo, e non del consenso fine a se stesso.

 Da ricordare l’altro padre della costituente Piero Calamandrei che ebbe a dire: << Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione >>.  Sono celebri parole che Piero Calamandrei rivolgeva agli studenti milanesi nel 1955 e che consiglio ancora oggi di far ascoltare ai nostri ragazzi. Di Costantino Mortati, che ricordiamo, ha studiato al Collegio di Sant’Adriano, sentirete su Fb  la relazione del dott.  Bilotti Domenico 2015 – 11 – 09 su Costantino Mortati: il disegno della Costituzione, della sua redazione, interpretazione ed applicazione.

Chiudo pensando che in effetti sia stata una guerra fra fratelli,  e ci sono ancora partiti che vogliono avere la paternità dell’antifascismo mentre qualcun altro cerca la parola antifascismo dentro la Costituzione, distratti tutti, del primo articolo della nostra Costituzione.

COSTANTINO MORTATI

di

Dott..Bilotti Domenico 2015 – 11 – 09

Costantino Mortati: il disegno della Costituzione, della sua redazione, interpretazione ed applicazione

Commemorare la figura e l’opera di un giurista è un’operazione complessa, ben più di quanto già non lo siano i tributi agli artisti, ai letterati e alle altre figure intellettuali che lasciano un segno durevole del proprio percorso concettuale. Per il giurista, infatti, è ancora più probabile che la commemorazione debba incentrarsi sul riscontrare le aporie tra quanto l’Autore aveva teorizzato e messo a punto e le modalità (contraddittorie, caduche, ingannevoli) della sua attuazione pratica in un ordinamento giuridico dato.

Costantino Mortati, nato a Corigliano nel 1891, è tra i protagonisti di un momento oggettivamente irripetibile nella storia italiana, uno di quelli dove diventa più facilmente percepibile la distanza tra la promessa e il risultato, tra il progetto di idee e valori e l’applicazione affidata (o usurpata) in conto terzi. Mortati si forma, infatti, negli anni della Prima Guerra mondiale. Raggiunge la parte più impegnativa del proprio sviluppo teorico a regime fascista ormai instaurato. Non può qualificarsi, in questa fase, esponente di un’opposizione simbolica, come fu quella dei Croce e dei Ruffini, o ancor meno di un’opposizione militante, come molti dei fautori del federalismo di seconda generazione. Ma anche nei decenni del regime l’opera di Mortati non sembra affatto ossequio connivente o complicità mal travestita. L’A. partecipa, poi, all’irripetibile esperienza della Costituente. Per la Democrazia Cristiana, che contribuì ad orientare su posizioni più mature e consapevoli di quelle che il partito cattolico rischiava di reiterare acriticamente alla sua riorganizzazione. Infine, oltre che schivo giurista d’accademia, giudice della Corte Costituzionale -organo le cui competenze concorse a perfezionare, nelle fila della “Commissione dei Settantacinque”, il nucleo ristretto dei deputati dell’assemblea incaricati di proporre il progetto di costituzione repubblicana. Accanto agli studi giuridici e alle numerose responsabilità personalmente assunte, Mortati percorse con profitto anche gli studi filosofici. 

Non si trattava per Mortati di un’erudizione fine a se stessa: l’approccio filosofico, al contrario, forniva elementi ulteriori e complementari al ragionamento giuridico, anzi, riuscendo a descriverne i presupposti meglio di molte altre scienze affini. Prova ne sia che i temi di studio di Mortati sono numerosi. Alcuni ben noti (come l’elaborazione intorno alla nozione di “costituzione materiale”, non curiosamente a Statuto in vigore e a regime avanzato), altri inadeguatamente obliati, come gli studi sulle forme di governo, sul ruolo costituzionale dei partiti o sulla tutela del lavoro, al tempo di grandi trasformazioni produttive. In questa sensibilità, Costantino Mortati è pienamente uomo della generazione della Costituente. Deputati eletti che percepivano l’irripetibilità del contesto creatosi e il sollievo per la liberazione, ma che non si illusero di potere redigere un testo ermeticamente chiuso alle esigenze attualizzanti del cambiamento e agli inderogabili impegni dell’attuazione pratica. La stessa accezione di “costituzione materiale” concepita da Mortati, e per altro verso non di rado strumentalizzata come cinico elogio dei risultati della decisione politica, è segno della consapevolezza di questa dinamica intrinseca agli ordinamenti giuridici.

Alla stessa stregua, nell’interesse di Mortati per i partiti politici -anche prima dell’entrata in vigore della Costituzione- stava la grande intuizione sulle virtù della partecipazione politica. Pure il lavorio intellettuale di Mortati sulla forma partito è stato non occasionalmente e, forse, consapevolmente equivocato. Quando la miglior chiave di lettura della riflessione dell’A. sarebbe da potersi ritenere proprio l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. In essa, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È una proposizione relativa quella che specifica l’esercizio della sovranità popolare, non ci sono toni avversativi. Che le forme e i limiti siano quelli dettati dalla Costituzione avrebbe potuto e dovuto significare che quella sovranità non potesse essere usurpata da una integrale spersonalizzazione dei meccanismi di delega. Né svuotata dall’inflazione e segmentazione della consultazione elettorale, né smodatamente attuata con linciaggi, violenze e inosservanza di qualsivoglia garanzia universale.

Il ruolo del partito politico avrebbe potuto e dovuto, anche stavolta, essere cruciale, ma lo è stato assai più spesso in violazione (e non a sostegno) dell’articolo 1. La repubblica dei partiti non è stata la Repubblica democratica fondata sul lavoro. Proprio perché la dirigenza dei partiti politici ha progressivamente rimosso l’utilità della riflessione collettiva sulla forma partito. La centralità del partito politico per Mortati non era affatto la prosecuzione del corporativismo fascista con altri mezzi. Lo Stato fascista era coattivamente monopartitico. Mortati non guardava alle formazioni sociali come corpi intermedi che assicurassero la presa politica dell’esecutivo in ogni spazio dell’agire sociale. Esigeva che i partiti fossero una forma dell’esercizio della sovranità popolare. Il luogo della formazione della classe politica, l’osservatorio delle dinamiche dell’azione di governo, e non del consenso fine a se stesso. Non è un azzardo vedere nelle funzioni che Mortati assegna al partito politico le medesime necessità storico-culturali che il demolaburista Ettore Lombardo Pellegrino tra gli anni Dieci e Venti del secolo XX sembrava intravedere nello sviluppo della rappresentanza sindacale. Le formazioni sociali vengono così restituite alle loro istanze primarie: canali della partecipazione, a beneficio del libero svolgimento della persona.

Non sembra coerente, come pure sin troppo spesso si fa, ravvisare in Mortati una incompiuta via di mezzo tra la dottrina kelseniana e la teoria della sovranità di Carl Schmitt. E proprio avere descritto la dinamicità della costituzione materiale (pur sempre correlata a un nucleo di indisponibile costituzionale, al cui mutare muterebbe, stravolgendosi, anche la forma di Stato) consente di vedere Mortati ben più che come un “modesto derivatore”. Devoto, senza fantasia, alla comparazione giuridica -di cui pure fu precursore. Nella costituzione materiale non c’è spazio per l’elogio, quasi iconografico, della norma posta, né per l’affidamento dogmatico alla norma presupposta.

Il sistema kelseniano, a ben vedere, si rivela molto utile nel concepire una teoria gerarchica dell’amministrazione, ma si arresta nel descrivere i meccanismi che fanno di una costituzione, effettivamente, la costituzione. Forse, qualche somiglianza in più può vedersi tra la teoria di Mortati e la costruzione a gradoni dell’ordinamento, immaginata da Adolf Merkl, altro giurista della “grande Vienna”. Solo che, almeno sul piano ideologico, il sistema merkliano immagina un’elevata comunicazione tra un gradino e l’altro, mentre Mortati sembra curarsi, se si resta in metafora, anche della comunicazione all’interno di ciascun gradino.

Né si può dire che Mortati aderisca al decisionismo schmittiano, tutto schiacciato sull’idea dell’eccezionalità come sede ultima per verificare in nome di quale titolo (e con quale forza) si eserciti il potere del governo. Il costituzionalista Mortati non poteva avere fiducia in un ordinamento che per descrivere il funzionamento dei propri organi facesse costantemente riferimento all’emergenzialità (persino nelle norme relative alla deliberazione dello stato di guerra il potere, nella Costituzione, non è mai privo di perimetro). E il filosofo Mortati non poteva attribuire carattere assolutistico a un decisore singolo, isolato, slegato dalla vivace materialità dei rapporti sociali e della loro necessaria dimensione collettiva.  

Questi pochi elementi di riflessione non vogliono sostituirsi ad uno studio più accurato su un giurista che ha percorso quasi per intero la parabola novecentesca e che, nella sua formazione, ben testimoniava lo zelo e l’aulicità di una stagione ormai tramontata. Vogliono, però, servire, se sarà loro possibile, ad aprire un dibattito su quanto di attuale vi sia nelle intuizioni di Mortati. Probabilmente fuori da metodologie superate o da itinerari di riformismo giuridico mai attuati e, perciò, fuori tempo massimo. Bensì, con l’intenzione di ragionare collettivamente sul lascito più importante dell’Assemblea alla neonata Repubblica. Talora mitizzata, ancor più facilmente stracciata, la sua Costituzione. Pur se tra oblio ed abuso di revisione, i patrimoni di idee son sempre merce rarissima.  Dott. Bilotti Domenico.

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