SAN DEMETRIO CORONE     ( Fra Cronaca , Storia e Politica)

SAN DEMETRIO CORONE ( Fra Cronaca , Storia e Politica)

San Demetrio Corone ( fra  cronaca ,storia e politica)

di Angelo Lino Luzzi

Se la storia fosse fatta da presunti documenti rinvenuti in un cassetto, fatta di nozioni, trattati, grandi personaggi, eventi memorabili, la storia di San Demetrio Corone, oggi come oggi, non avrebbe nulla da raccontare e potrebbe essere chiusa con pochi cenni.

Ma se la storia è anche vita della gente, il lavoro, la produzione, la terra, i rapporti sociali, le forme e i luoghi di culto ,  lo svilupparsi di una cultura, allora anche San Demetrio Corone e il suo territorio hanno una loro storia da raccontare.

Insomma si è cercato di fare un’operazione in cui la microstoria fosse tra i protagonisti nella storia collettiva del paese, facendo apparire, per la prima volta, un quadro che si ritiene non mancherà di sorprendere e interessare i cittadini di San Demetrio Corone e non.

Per riavvolgere i fili di quella che io ho individuato come di una intricata matassa, e fare un buon gomitolo, è stata necessaria molta passione e tanta familiarità con le vicende. Tuttavia, mi pare di poter affermare che questo mio lavoro sia partito con lo spirito di avere una sua logica ed una sua intrinseca validità proprio perché al di fuori degli schemi canonici, quelli collaudati per esperienze e finalità diverse da quelle che questo mio modesto lavoro si pone.

Il tentativo è stato quello di ricostruire in una rapida sintesi, quanto di essenziale, o ritenuta tale, nelle vicende che hanno contribuito alla formazione dei luoghi e delle cose, creando un supporto di verità inscindibile dalle immagini che ancora in molti conserviamo. Immagini e sentimenti che hanno rappresentato un tessuto connettivo generale per trasmissioni di valori, sorti ai margini di una cultura prestigiosa.

Questa però, non è la sola mia intenzione, ma anche, l’analisi critica che ha ricondotto ogni periodo preso in esame, nel contesto politico ed economico che lo ha generato .

Senza volere risalire alle origini di Adamo ed Eva, l’inizio di questa storia sarà coincidente al tormentato fenomeno politico del ventennio fascista che ha preceduto le fasi della nostra Costituzione.

In tanti libri leggiamo che le vicende umane vanno lette nell’ambiente in cui si svolgono, forse manca qualche aggettivo, scritte prima “onestamente”, perché quasi sempre nel nostro mondo, l’uomo non parla in favore della verità anzi, spesso per comodità, l’addormenta.

Devo dire che, se il rispetto per questo particolare lavoro  dispensa da pretestuose argomentazioni che potrebbero apparire polemiche, però, non può negare alla storia il processo etico-politico che viene  sottaciuto o detto sotto voce, forse perché la gente comune non ne parli. La persona non può essere contenta se non conosce il significato e il valore delle cose. La persona si sente libera e vera se partecipa e condivide, è schiavo e ignorante chi non partecipa e chi non condivide.

Lo Stato siamo noi,  nel quale ognuno si manifesta in maniera diversa, come può, per affrontarsi da individui, per opporsi all’altro ed evitare l’uniformismo, per consolidare la democrazia nella tolleranza e nel rispetto reciproco, umano e ideologico.

In questo lavoro non c’è la costruzione mestieranda, tipica  e usata da  alcuni autori, cantautori, poeti, politici, giornalisti-pubblicisti, storici, scrittori, artisti, architetti, rapsodi dai facili patrocini, tutta pubblicizzata come capolavoro.

Questo sito tratta di lavori “ fatti in casa”, senza dover pagare per pubblicare,  genuini da vantare, bontà vostra, già con pochi articoli 5000 visite.

Forse perché mi sento libero da straniero in patria, non ritengo di avere bersagli specifici, solo posizioni critiche costruttive, culturali e civili da esprimere sui tanti revisionismi, sulle falsificazioni della realtà, sui tanti miti nella loro inconsistenza.

Potranno essere scritti da penna selvaggia, guarescamente acidi e forse un po’ “corsari”, sicuramente nella omertà e nel silenzio totale, saranno di una voce libera che si schiera a fianco della verità, e quando si sceglie la verità non si diventa giaccobino, ma si diventa migliori e più in salute.

( I capitoli man mano scorrono per come vengono affrontati i temi, grazie.)

 

 

 

IL CARNEVALE

 

 

 

 

 

 

 

 

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I Diavoli – San Demetrio Corone

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 Foto G. Piro

 

IL CARNEVALE

TAFINI nella tradizione arbëreshe a San Demetrio Corone

DJALLTHI – Djèllëzit – Le Maschere

 

(Ricerche di Angelo Lino Luzzi)

 

La tutela , il recupero e la promozione della lingua con la diffusione delle nostre tradizioni popolari sono state le priorità nell’impegno e nell’azione dell’associazione Shpirti Vendit-Genius Loci.

Considerato che l’Associazione Shpirti Vendit – Genius Loci per finalità statutarie  tutela il patrimonio Arbëresh, promuove il suo  recupero e incentiva  il Turismo Culturale, Sostenibile ed Enogastronomico attraverso una proposta di progetto Evento strategico innovativo e inclusivo,  ritiene opportuno marcare i tratti distintivi  del Carnevale Arberesh, emersi recentemente da una ricerca sul campo.

Storici, etnologi, folkloristi sono concordi nel dire che le feste del calendario nella fine dell’inverno rappresentano la sortita dei morti, così come le maschere del chiarivari rappresentano i morti della comunità dove tra di loro c’è il morto che ritorna per protestare e dove c’è l’uomo che prende la maschera del diavolo.

Questi improvvisi ed inaspettati scenari appartenenti ad un periodo che concentra alcuni nostri riti tra la Candelora  e le Ceneri, la festa dei morti, il carnevale, le ceneri e i diavoli in sostanza hanno un unico linguaggio, cercano quel collegamento continuo tra il mondo terreno e il mondo divino  ed in mezzo  il diavolo. Per comprendere le origini, senza iniziare dagli Illiri, basta entrare nella mentalità medievale; è necessario immergersi in quel tempo di riti pagani e nella concezione cristiana della vita fondata sulla visione dualistica tra il Bene e il Male, tra Satana e Dio, tra morte, rinascita e resurrezione.

LA Chiesa  si è adoperata per reprimere i culti pagani e le maschere ma ha pensato  bene di raffigurare il diavolo con tratti bestiali, dotandolo di ali, coda e corna. Fu probabilmente in quel momento che la Chiesa stessa pose indirettamente le basi per la nascita e lo sviluppo del cosiddetto ‘satanismo’, con tutta la relativa iconografia, fenomeno a cui gran parte della odierna cultura di massa abbina il simbolo delle corna e delle pelli a quell’essere con il viso unto.

Il carnevale fin dagli anni ‘80 a San Demetrio Corone si è decise di avviarlo come Carnevale Sademetrese  per poi sparire dall’ambito come sfilata di carri nel sabato successivo alla “ Festa dei Morti”.

Dopo un lungo periodo senza sfilate, un secondo tentativo di recupero riesce solo a ripristinare l’annualità il funerale del Carnevale , cosi detto di zù Nicola, ma non il recupero base della vera tradizione.  Intanto, bisogna sempre e comunque salutare positivamente le iniziative dei “carri”del Carnevale Sandemetrese che non sfila dopo la festa dei morti   ma, arricchisce la titolazione Carnevale Sandemetrese con Arbëresh.

Noi dell’associazione Shpirti Vendit-Genius Loci partecipiamo tutti e salutiamo con piacere ogni iniziativa per dar vita alla sfilata e a rendere diversa la giornata del Carnevale molto attesa durante l’anno dai bambini. I tratti distintivi del Carnevale Arbëresh a San Demetrio Corone andavano comunque recuperati e salvaguardati per come siamo riusciti a fare.

I risultati ottenuti, non intaccano minimamente lo svolgimento di qualunque carnevale si voglia fare a San Demetrio, come il funerale  col nome di zù Nicola e con una moglie qualsiasi di turno “Nunziata” ma, puntuali osservazioni servono per dare una corretta informazione non solo a tutti gli operatori del turismo ma anche a coloro che abusano dell’aggettivo arbëresh.  

Raccontare il nostro come Carnevale etnico non bisogna andare a disturbare ogni anno con le solite litanie dei Saturnali, di Dionisio, dei Baccanali, oppure la sfilata dei buoi in Egitto in onore di dio Nilo, oppure feste per la dea egizia Iside, ma alla vera tradizione necessita del racconto antropologico che si traduce in ricordi e racconti come quelli di mia nonna Maria Rosa Cassiano nata nel 1886 e vissuta fini al 1989. Alla tradizione servono le testimonianze di quelle persone nella foto, dei bambini nella foto , come quello di A. Lino Luzzi al centro tra i due gruppetti e nella foto  è l’ultimo dietro che agita la mano destra, a Piazza Rossa, anno 1955.

 

 

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Si tratta di memorie vissute e praticate con Karnevali Krie e Prèr doj mish e hjiromer , oppure con  Karnevali Krie e Prèr doj mish edhè psrusut e prusut nëng kè ez gà gn shal qenie.

Erano i tempi dei carnevali con in mano ghellin( spiedo lavorato a mano) per poter infilzare salsiccia, lardo, pezzi di carne, e gnë trast e viker (sacchettino)  per altri doni ricevuti nelle case visitate, dove ognuno ti chiedeva  e tì, kuja i biri je( e tu di chi sei figlio).

Chi, come me  ha vissuto intensamente gli anni 50 e 60 tra via Termopili e Piazza Rossa non fà fatica a ricordare cosa ha rappresentato il carnevale in paese. Era divertente e curioso sentire da Koraizma, la moglie del carnevale Tafini (da τάφος) , le satire contro i ricchi e tutti gli aspetti negativi contro i signorotti e politici e le imprecazioni con atti da farsa drammatica: tëghjlqën lesht të shpjèksur e shqiren faqjen me duart, tue thërritur edhè me të birin mbëduar ( strappa i capelli sciolti e si straccia la faccia con le mani gridando con il figlio in braccio).

 

 

 

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Lino Luzzi si trova tra il gruppetto e l’altro, icino al figlio di Lucianino

Anche Mjesh Vicenzi Rumanò ( Graton), è al centro

Una commedia drammatica a cielo aperto, a Piazza Rossa (piazza Strigari centro del paese) dove alle imprecazioni di Koraizma il pubblico che assisteva rispondeva con una battuta,  ripresa a sua volta con maledizioni comiche e romantiche di Tafini, che dall’interno della bara alzava solo la testa e guardandosi intorno rendeva visibile la salciccia e la bottiglia di vino in mano e un imbuto per qualsiasi travaso immediato durante il percorso, e talvolta  a pugno chiuso, faceva penzolare il polso su e giù verso tutti coloro che gli chiedevano se era veramente TAFIN TAFIN TAFERA ḈË HARROJ QICIN TE’DERA.

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Battaju (al secolo Salvatore Pignataro, tatmadi Nuzzit), è stato colui che ha vestito i panni della Koraizma e si è alternato a fare anche Tafìnin nella bara.

 

 

Intervista a Raffelina Buscia, figlia di Demetrio Buscia  – TAFINI

Battaju -Salvatore Pignataro- (Koraizma) era dotato di molte conoscenze locali e ricorrendo a metafore e satire, parlava liberamente di fatti nascosti, emetteva giudizi scomodi; era apprezzato e stimato per la sua bravura nell’interpretare il rovesciamento delle cose che definivano  quel pizzico di verità. Possiamo dire che il carnevale a San Demetrio C. ha rappresentato l’infrazione alla norma della quotidianità. Rompeva la monotonia in paese e la presenza annuale faceva sentire il peso di esserci, di contare qualcosa per esplicitare la protesta, come uno strumento di denuncia. In quel giorno tutto era concesso, si invertivano i ruoli sociali…….

Tafini,  (al secolo Demetrio Buscia, tatmadi Pelatit) nella bara ha rappresentato il funerale del carnevale morto, con una salciccia in bocca e un imbuto pronto alla bisogna del vino. Tafini era il carnevale nella tomba, colui che per gli eccessi del cibo si era scavato la fossa ma ; Tafini è il carnevale della nostra tradizione e nelle varie accezioni tradotto in greco antico τάφος  significa: tomba, fossa, sepolcro (Sëmbullku a San Demetrio – Sumbullku in altri paesi arbëresh.

A rendere più convincente questa mia intuizione, viene in soccorso una pubblicazione tratta da Onda Lucana© by Costa Bell nella quale, il bravo, esperto e professionista, nonché mio amico  di vecchia data, Costantino Belluscio di Plataci, nell’articolo “Fixat e Javës Së Madhe në Ritin tanë Bizantin-Grek tra l’altro scrive:

: <<…..Pasmjesditës kremtohat/thuhat Matutini dhe këndohan “Enkomiat” (Vajtimat për vdekjan e Krishtit). Pas vajtimat bëhat purcjona me “Tàfosin” (sumbullkun e Krishtit), ndëpër udhët e katundit. Pasmjesditës e së Shtunën e shëjt kremtohan/thuh….>>

 “ Tafosin” ( Sumbullcun e Krishtit ), dal loro Arbashkuar, Sëmbùllk=tomba, sepolcro

 

Pertanto, marcare il nome Zù Nicola al carnevale arbëresh è come servirsi di nomi e sinonimi di importazione, lëtir,(latini) come Nunziata che puoi trovare ovunque ed estranei alla nostra tradizione. Come spesso sta accadendo con la nuova generazione di “scienziati/e” locali,  il fai date, stimola i calabresismi e l’american style e le copiature a gò gò fanno il resto e non solo. Ignari del significato intrinseco della Koraizma e ignari del fatto che non bruciamo nessun fantoccio a carnevale, tutto procede a S. Demetrio C. sotto il nome di arberesh  come se nulla fosse accaduto, impegnati come sono  da una ricreazione infinita.

L’antropologia, nella nostra tradizione popolare, negli usi e nelle simbologie antiche del nostro carnevale ci riempie di significati nel rapporto che abbiamo con i nostri rituali, consegnandoci ad una visione chiara, unica e particolare.

Ho tentato di interpretare il rituale del nostro carnevale entro il quadro complessivo della visione tra sacro e profano  che noi Arbëresh viviamo nel periodo che possiamo definire capodanno agricolo ortodosso, legati come siamo al nostro rito bizantino e  agli usi e alle simbologie di un tempo nel rapporto legato al cibo, alla morte-resurrezione, intesa come continuazione della vita.

Perché noi non bruciamo nessun fantoccio a carnevale?

Al contrario del resto d’Italia, noi a San Demetrio non bruciamo nessun fantoccio di paglia le cui ceneri fanno risvegliare con la primavera nuove ed abbondanti messi. Nella nostra cultura contadina oltre alle messi, con Tafini si risveglia anche un popolo distrutto dalla  miseria che spera continuare a vivere e cambiare in meglio.

In quel giorno in paese, Tafini e Coraizma rappresentano l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole. In sostanza Tafini e Coraizma rappresentano il mondo alla rovescia e il momento del rinnovamento e della rinascita.

Tafini morto porta con se tutti i mali e i peccati del paese e   ritornerà dalle sue ceneri l’anno seguente nel mondo dei vivi,  attraverso la fiamma della candela e dei collivi nella ritualità dei morti, ad affermare che la vita  continua e i morti tornano tra i vivi.

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E’ comprensibile come il recupero del soprannome Tafini alias Demetrio Buscia, artigiano Scarpàr, conosciuto e stimato in tutti gli ambienti sandemetresi, ci pone davanti ad una ennesima riflessione sulla etimologia popolare o alla paretimologia dal momento che, l’etimologia della parola è stata accettata, assimilata, parlata e vissuta da una intera comunità di parlanti arberesh sandemetresi.

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Lino Luzzi è l’ultimo bambino con la mano destra alzata, dietro Ricuzzo di Piciroi

Il penultimo bambino a difronte a destra è Mazziotti Alighjeri

Le due ragazze al centro sono Rosina e Maria Genuefs

Basti pensare a Tafini,  dal greco antico τάφος , al carnevale, alla sintesi come rito pagano di una particolare operazione funebre di un antico cerimoniale locale con una serie di pratiche condivise da tutto il paese, dove si sono sempre intrecciati costantemente il charivari la maschera del  demonio, il sacro col profano , il cibo, i morti, la  rinascita, la resurrezione, il travestimento. E allora pensiamo a Rotondaro Vincenzo , (Ijati Skaghèllit-Sotit) che si travestiva da donna con gli abiti arbëresh e spesso anche da prete nel funerale di Tafini. Pensiamo poi, che a fargli compagnia vestito da donna arbëreshe c’èra  anche Amiragli fratello di Garrone Vincenzo ,Picipici  entrambi grandi attori locali  burleschi , allora lo spettacolo era garantito. Comprendiamo come nel corso degli anni, si siano cristallizzati frammenti di tradizione e tramandati, nonostante azioni contaminanti; la tradizione orale ha comunque tramandato oralmente e abilmente tanto da salvare tutte le figure del nostro carnevale.

Tutto ciò rimanda ad alcune usanze e contrasti, anche sandemetresi, fin dalla prima parte del 1600 alla Visitatio Apostolica, cioè ad una visita pastorale nella diocesi di Bisignano che ha scaturito il “ De Albanensibus seu graeco ritu viventibus” che riferisce, proibendo anche alcune consuetudini radicate sul piano dei costumi, sono proibiti iprandia (pranzi) e le commessationes ( banchetti con invitati) che gli Albanesi erano soliti tenere nelle chiese in occasione delle festività principali e in occasione della tumulazione o commemorazione dei defunti.

Nel tentativo di latinizzarci, molti vescovi facevano passare per Chiarivari quello che gli albanesi fino a tutto il ‘700 facevano nelle chiese tra il capodanno ortodosso e le Ceneri.

Il Chiarivarì francese , oppure  dal greco  Kapἠβapia spesso consisteva in banchetti e cene e balli di persone dentro le chiese, talvolta travestite e con maschere si lasciavano abbandonare   a manifestazioni  rumorose.

Alla pagina 76 della pubblicazione “ Chiesa e società in CalabriaUna visita Apostolica alla Diocesi di Bisignano”del prof. Rosario D’Alessandro, tra l’altro si legge: <<……con tutte le forze ordiniamo e comandiamo a tutti gli Albanesi di questa Diocesi che nel Giorno della Pasqua di Resurrezione del Signore non ardiscano più mascherati e vestiti di molli abiti dare rappresentazione di danze corali, come furono soliti fare fino al presente  con grandissimo scandalo delle popolazioni latine ed irriverenza del corpo del Signore, che presero nella mattina….>>.

La combinazione di questo dato linguistico TAFINI con la viva tradizione orale,  nella ritualità del carnevale risulta, come dato storico, e lo fà diventare il “toponimo” del Carnevale a San Demetrio, contrariamente a ZU’ NICOLA, tipicamente calabrese più autoctono (lëtir) che alloglotta, e così la stessa “ Nunziata”.

Nb : Va dato merito ai componenti dell’Albany Jazz di San Demetrio C. per aver dato vita, tra l’altro, ad una edizione del funerale TAFINIT nei primi anni ’60, insieme al liceo-ginnasio. Ne parleremo su questo sito nel corso della Storia di Sandemetrio Corone tra cronaca, storia e politica.

Ringrazio la famiglia De Marco per la disponibilità, la signora Raffelina Buscia figlia di Demetrio Buscia alias TAFINI.

Ringrazio Damiano Guagliardi per la disponibilità di alcune foto d’epoca.

Ringrazio la famiglia Micieli Da Pisa per la loro disponibilità.

Voglio ringraziare Mariarosen e Triesten Bojes, e tatmad Giuseppe Serra e motra Maria Luzzi, sono stati la mia  banca dati arbëreshe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CARNEVALE ANNI 50/60

I DIAVOLI  –  DJELLZIT – LE MASCHERE

( Tratto da: San Demetrio Corone, fra cronaca, storia e politica)

di Angelo Lino Luzzi

 

 

……………..segue ancora testo

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Successivamente il Cattolicesimo si adoperò per reprimere i culti pagani

chiamati charivari, o dal greco  Kapἠβapia, e pensò bene di raffigurare il diavolo con tratti bestiali, dotandolo di ali, coda e corna. Fu probabilmente in quel momento che la Chiesa stessa pose indirettamente le basi per la nascita e lo sviluppo del cosiddetto ‘satanismo’, con tutta la relativa iconografia, fenomeno a cui gran parte della odierna cultura di massa abbina il simbolo delle corna.

Andava lentamente configurandosi l’iconografia specifica del demonio che insisteva sui caratteri animaleschi e mostruosi. Una trasformazione favorita dall’ambiente monastico che sviluppò l’immaginario diabolico di figure spaventose già note all’arte pagana come il dio cornuto del nord-ovest europeo, i cernunno dell’antica mitologia celtica, il satiro della mitologia classica oppure Bes dell’antico Egitto.

Se Dio è colui che è, il Diavolo colui che cambia, nulla di più vero è facilmente dimostrabile quando si analizza l’immagine del male attraverso i secoli. Nessuna rappresentazione può esprimere compiutamente la natura complessa del demonio che si manifesta nella sua trasformazione.

Per avvicinarmi il più possibile, a quel filo storico che ci legava col recente-passato, mi sono affidato alla pubblicazione di Rosario D’Alessandro sulla decretazione sinodale De Albanensibus circa i nostri costumi, il nostro rito, la nostra cultura.

ho fatto ricerca sul bestiario del maligno, per come avevo fatto con i codici bestiari di Rabano Mauro per interpretare l’arte nelle due porte esterne nella chiesa di Sant’Adriano.

Un ruolo fondamentale nella codificazione del bestiario del Male è attribuito al Physiologus trattato dalle omelie si San Basilio di Cesarea, scritti da Eucherio di Lione, e da Isidoro di Siviglia, il quale intervenuto dopo Sant’Agostino ispirandosi a Platone ( nella città di Dio), fa riferimento al significato primitivo larvae demonum e dice:<<

Dei demoni fatti a partire da uomini di cattivo merito e la cui natura è far paura ai bambini negli angoli >> ( Isidoro di Siviglia,Etymologie, VIII cap. ult :” Larvas ex hominibus factos daemones aiunt qui meriti mali fuerint, quarum natura esse dicitur terrere parvulos in angulis tenebroris”.

Come al nostro caso,   FAR PAURA, SPAVENTARE.

I monaci eremiti nella loro vita di privazioni erano preda di tentazioni, turbe nervose, fisiche e mentali da loro attribuite al maligno che si mostrava trasformandosi.

 

Ma era sempre e solo uno il Male, uno solo il diavolo come appunto nella ritualità si San Demetrio Corone, abilmente veniva rappresentato da Vincenzo Micieli, le cui doti artistiche si facevano già valere in altri campi. Riusciva benissimo a spaventare e a incutere paura.

Puntuale intorno alle 13°° del Matedì grasso scendeva dalla collina di Nicola Orazio  coperto di pelli  e corna di capra, con il viso unto di rosso e tanti campanacci distribuiti sopra le pelli. Giunto al ponte di Ordichetto iniziava il frastuono dei campanacci i quali echeggiavano nella vallata del Fiume Marini. Il frastuono delle Kumbore giungeva sia a Mormorico che a Fund-Katundit. Entrato nella via dei Fedeli recuperava l’accesso a via Termopili e  difronte la sua casa ( afer Cozmadit)sfoderava un “ vaso da notte con pastasciutta all’interno”( gn rinar, pisciatur, me tumàz mbrënda e vëghej e gaj), e iniziava a mangiare.

Micili, djallthi, riusciva a fare uscire tutti fuori casa anche i bambini impauriti, nonostante attaccati alle vesti delle madri, volevano vedere, sentire, capire. Per coloro che non avevano fatto in tempo ad uscire e chiudere casa, la sorpresa era di trovare il diavolo  dentro.

Vincenzo Micieli era IL DIAVOLO nel carnevale arberesh, seguito sempre da uno stuolo di persone che continuavano a divertirsi con lui a spaventare tutti quelli che incontravano e poi a tarda notte tutta la stanchezza veniva ricompensata; soprattutto dalla popolazione che coinvolta per così dire, nel trasgredire insieme si sentiva più unita, più sincera nel condividere, come ho fatto io avendolo vissuto in prima persona.

Vincenzo Micieli lascia San Demetrio Corone  nel 1961 per recarsi con tutta la famiglia a Pisa, lasciando il testimonial a DUE DIAVOLI per continuare la tradizione, puntualmente rispettata.

E’ stato lui la maschera del Diavolo a riconsegnarla alla tradizione che giustamente continua e non si ferma, nonostante sia aumentata la famiglia dei diavoletti decisi a continuare nella loro solitudine ma in buona compagnia di self clicca e fuggi.

Il pensiero corre al prossimo carnevale con l’attesa  di sorridere insieme, come si faceva un tempo, senza meschinità e cattiveria  come è in abbondanza oggi, e con la speranza di sognare, come un tempo, nonostante il piano Marshall.

 

 

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